Sotto lo stesso tetto

Pubblicato il 20-08-2023

di Chiara Vitali

Samir Agić vive a Jajce, una città di 30mila abitanti in Bosnia Erzegovina. È un luogo particolare perché in mezzo al centro storico, si uniscono due fiumi e danno vita a una cascata. Per i turisti è un luogo fatato. La vita quotidiana a Jajce, però, è molto complessa. Negli anni Novanta la guerra è arrivata anche lì, come ricordano i memoriali con i nomi dei caduti nel centro città. Sono due, uno per ricordare i morti croati, di religione prevalente cristiana, e l’altro per i bosgnacchi, in maggioranza musulmani. Oggi la popolazione è formata da queste due componenti, con una piccola minoranza di serbi. Prima del conflitto, le tre componenti vivevano pacificamente, poi la guerra ha portato odio reciproco. La pace oggi è siglata, sì, ma a Jajce non si può parlare di riconciliazione.

«Qui abbiamo due scuole sotto lo stesso tetto – spiega Samir – Alle elementari, i bambini croati e bosgnacchi si dividono e studiano storia, geografia e lingua in classi separate. Questa regola è nata per tutelare le diversità culturali, ma in realtà gli studenti imparano i pregiudizi peggiori verso gli altri. Si studia che il diverso è nemico».

Non succede solo a Jajce. Il fenomeno delle due scuole sotto lo stesso tetto esiste anche in altre cittadine bosniache, come Mostar. «Così si coltiva l’odio a partire dai più piccoli», sottolinea Samir. Alcuni anni fa, lui ha fondato l’organizzazione non governativa COD, che ha proprio l’obiettivo di favorire la riconciliazione e di mettere un freno a quell’odio. Oggi ha otto dipendenti, rigorosamente di etnia mista: organizzano attività per riunire i bambini nel dopo scuola, creano momenti di dialogo tra giovani croati, bosgnacchi e serbi e realizzano progetti per aiutare i ragazzi e le ragazze ad avviare piccole attività. «La disoccupazione a Jajce tocca il 50%. Accanto alla riconciliazione, la sfida qui è fare rimanere i più giovani», dice Samir.

Da anni la cittadina è governata dai nazionalisti – si alternano i partiti estremisti croati e bosgnacchi – e le attività di COD sono state spesso ostacolate a livello amministrativo. «Una volta siamo arrivati in ufficio e non siamo potuti entrare, qualcuno aveva cambiato la serratura a nostra insaputa», racconta ancora Samir. Il suo sogno, in realtà, sarebbe stato fare l’insegnante. Non si è realizzato perché a Jajce chi entra a scuola deve essere ben voluto dai politici locali. Samir non ha mai voluto prendere la tessera di alcun partito nazionalista, così si è trovato escluso. Ma ha deciso lo stesso di rimanere, di fare il possibile nel silenzio. Perché? «Jajce è semplicemente la mia città. Amo questa terra e penso alla mia famiglia, ai miei figli. Provo a fare del mio meglio per loro».


Chiara Vitali
NP maggio 2023

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