Managua 2010

Pubblicato il 11-07-2023

di Luca Periotto

Per parlare di Managua vorrei fare mente locale, che nel mio caso vuol dire lasciare che il posto parli attraverso la sua memoria. La memoria di un luogo interagisce con la nostra e le due si sovrappongono e formano la struttura di un racconto.
In Nicaragua, quasi di passaggio, ci sono restato non più di quattro o cinque giorni: mi spostai tra Managua e le città limitrofe che si affacciano sul grande lago Nicaragua, un luogo dove la natura la fa da padrona. Questo successe durante un tour che in soli venti giorni mi permise di visitare tutte le nazioni dell'America centrale. Tuttavia, mi sono bastati per rendermi conto di quanto questi Paesi siano accomunati, e di quanto sia vero che realmente questi Stati vadano considerati come «il giardino di casa dei vicini yankee».
In realtà, fin dai primi istanti a Managua, ho potuto avvertire gli impulsi del mio sentimento di idiosincrasia che si rivela e si fa strada ogni volta che avverto delle corrispondenze con dei miei preconcetti.
Mi riferisco soprattutto a ciò che riguarda le influenze della globalizzazione. Evidenze deludenti che uniformano, attraverso tutto il pacchetto "chiavi in mano", fatto di simboli che poi sono i soliti centri commerciali, l'urbanistica disegnata al computer, l'architettura avveniristica e i brand alla moda, i lodge, le grandi catene alberghiere.

Elementi estetici presi in prestito dai Paesi industrializzati, capaci di trasformare qualsiasi territorio sottosviluppato, in un luogo sterile, asettico e uniforme, privandolo in poco tempo degli elementi culturali che lo differenziano e lo contraddistinguono da sempre. Come le serie di fotografie topografiche scattate dal fotografo Lewis Baltz illustravano alla fine degli anni '60 vaste aree rurali degli Stati Uniti alle prese con il boom edilizio. È triste, lo so.
Questa linea periferica trasforma in suburbia qualunque area toccata: da sempre il progresso si porta con sé un effetto collaterale, quel degrado destinato a rimanere presso le aree periferiche che diverranno quelle più ghettizzate.
Anche in questa città, Managua, basterà farsi un giro nei quartieri più residenziali per rendersi conto di quanto le cose possano cambiare in fretta. E succede non appena viene inaugurato un nuovo mall center, esattamente mostruoso, gigantesco e uguale a qualsiasi altro si possa visitare a Los Angeles, Parigi o Londra. Se la gente del luogo vuole trasferirsi in massa nel nord America, qualcuno alto di rango ha ritenuto più conveniente che il nord America tanto agognato si trasferisse lì, direttamente a casa loro.
Quindi la linea di demarcazione, quella che sulla carta dovrebbe segnare il confine geopolitico degli Stati Uniti d'America, nel corso degli anni sembrerebbe via via essersi spostata sempre più a sud, sempre più in basso, avanzando a pari passo con la strada panamericana.

Guardando al Nicaragua si potrebbe pensare che sia stato baciato contemporaneamente da Dio e dal diavolo: la natura e i paesaggi, la flora e la fauna fanno del Nicaragua un autentico paradiso in terra. Sul territorio sono presenti 48 vulcani, e nel 1972 la capitale fu distrutta da un terremoto che fece migliaia di morti. Per tutto il ‘900 il Nicaragua ha conosciuto un secolo di sangue e crudeltà grazie alla rivoluzione sandinista e al regime del dittatore Somoza.
Sarà per via della pioggia di quei quattro giorni di una dozzina di anni fa, ma non ricordo proprio di aver incontrato gente allegra! In compenso mi ritrovai a osservare stupito espressioni di una specie di tristezza endemica, che mai avrei pensato di trovare a quelle latitudini.
Il cielo è cupo a Granada, una cittadina colonica sul lago Cocibolca. Lì, mentre fotografo la facciata mezza distrutta dal terremoto della chiesa di Nostra Signora di Guadalupe, noto sullo sfondo lo scheletro di una facciata bianco gialla, forse un'altra chiesa illuminata da un raggio di sole.
La scena mi ricorda un film di Tornatore girato a Bagheria, una Bagheria ricostruita altrove, proprio come questo luogo ora organizzato per turisti che rammenta un set cinematografico, una delle tante Disneyland raccattasoldi.
Mentre avanzava una carrozza con dei turisti all'apparenza annoiati, sotto gli zoccoli dei due cavalli da soma coi paraocchi, vidi su quei ciottoli di porfido grigio lava, la formazione di una chiazza di sangue che, via via allargandosi, mi fece tornare alla mente qualcosa visto di sfuggita alla TV, o su una rivista d'epoca. Fotografie che da bambino mi avevano turbato: erano scene di violenza e di lotta cruenta che riguardavano quel lontano Paese, che si chiamava Nicaragua e che mai avrei pensato di visitare un giorno.

Lo ammetto, ho faticato molto a riconoscere come bello ciò che bello lo è realmente, ammesso che non si tratti solo di una patina superficiale che sicuramente abbellisce, ma che, come la calce, nasconde ciò che di solito nel profondo continua a fermentare.


Luca Periotto
NP aprile 2023

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