Il senso siamo noi

Pubblicato il 27-09-2023

di Roberto Cristaudo

Se i viaggi fossero solo spostarsi da un luogo a un altro non potremmo chiamarli esperienze. Rientrati a casa, dopo un viaggio, molte persone fanno fatica a tornare alla solita routine quotidiana. Alcuni si sentono cambiati, non solo nello spirito o nelle abitudini ma anche il loro fisico pare mutato nella sua forma originale. Se ti capita tutto questo, è un bene e devi ritenerti fortunata/o. Per alcuni il viaggio diventa addirittura la goccia che fa traboccare il vaso e il pretesto per mandare tutto all'aria e ripartire da capo. Il viaggio non è mai una passeggiata da prendere alla leggera, ma piuttosto un modo per guardarsi dentro e scoprire cose che forse nemmeno volevamo sapere. Ma allora perché amiamo così tanto viaggiare? Perché appena rientriamo a casa sogniamo di ripartire per una nuova destinazione? Qual è il senso di tutto questo? Il senso siamo noi.

La sopravvivenza del genere umano è affidata al racconto, alla nostra capacità di immaginare l’invisibile e credere a narrazioni condivise. Territori, religioni, moneta, mercati, confini, unioni, libri, film, persino i diritti umani e ovviamente anche i viaggi e la fotografia. Sono tutte narrazioni che ci chiedono di pensare, condividere e comunicare attraverso interazioni dinamiche. Tutte altrimenti impossibili da concepire o ricordare.
Senza il racconto, il viaggio stesso non esisterebbe. La macchina fotografica, il cellulare, una penna e un quaderno sono parti imprescindibili per raccontare tutto questo e, mai come in questo caso, il fine giustifica il mezzo.

C'è un motivo per cui scegliamo di affrontare lunghi spostamenti, dormire scomodi negli aeroporti o nelle stazioni e, arrivati a destinazione, iniziare subito a esplorare prima ancora di fare una doccia o saltare un pasto per dedicare quel tempo a esplorare un nuovo territorio. Alcune volte scegliamo sistemazioni scomode invece di lussuosi hotel con piscina, non solo perché più funzionali per raggiungere quel luogo interessante, ma anche perché il racconto è un contenitore dentro a cui ciascuno di noi vive prima ancora di iniziare a scriverlo. Raggiungere un luogo su un comodo bus con aria condizionata non ha la stessa narrazione del raggiungere quella destinazione con una bicicletta o a piedi. Pechino Express docet. L’immaginario collettivo va costruito, mantenuto e curato e ciascuno ha un proprio ruolo da svolgere nel contesto in cui si trova.

Quello di cui oggi la fotografia ha bisogno non sono i megapixel e nemmeno gli auto-focus infallibili, e la scrittura meno che mai delle nuove intelligenze artificiali. Tutti invece dovremmo cercare una narrazione concreta, consapevole e onesta. Provate a pensare che dentro un viaggio c’è tutto il bello ma anche il brutto. Da una parte la sublimazione della fatica per raggiungere un luogo da tanto immaginato, l’abnegazione e la concretezza, dall’altra la rinuncia al dire, a volte il vuoto di parole, forse perfino un po’ di omertà. Una fotografia mossa o non a fuoco, può raccontare molto più di una fotografia perfetta. Dobbiamo imparare a disattivare gli automatismi che decidono per noi il tono del racconto. Senza la capacità di credere in finzioni condivise alcune fotografie, molti libri e certi viaggi non esisterebbero.
Per avere delle storie da condividere non bastano delle mete leggendarie da postare sui social alla ricerca di un like o credere che sia il numero di followers a stabilire il nostro ruolo nel mondo. Serve anche la disponibilità e la capacità di ascoltare, guardare, leggere, provare a capire dove e perché siamo arrivati in quel luogo e soprattutto se lo abbiamo davvero meritato.

Godetevi sempre lo spettacolo di un viaggio e ricordate che non siete soltanto spettatori, non limitatevi a fotografare un tramonto da cartolina o a documentare un momento con un post frugale. Se siete viaggiatori, se amate la fotografia, sarete sempre parte del racconto.
Quando viaggiate siate onesti, il mondo oggi ne ha più che mai bisogno.


Roberto Cristaudo
NP giugno / luglio 2023

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