Il confine verde

Pubblicato il 23-03-2024

di Davide Bracco

«Viviamo in un mondo in cui sono necessari grande immaginazione e coraggio per affrontare tutte le sfide dei nostri tempi. La rivoluzione dei social media e l’intelligenza artificiale hanno ostacolato sempre di più l’ascolto di voci autentiche. A mio avviso, non ha alcun senso impegnarsi nell’arte se non si lotta per quelle voci, se non si lotta per porre domande su questioni importanti, dolorose, a volte irrisolvibili, che ci mettono di fronte a scelte drammatiche. Questa è esattamente la situazione in atto al confine tra Polonia e Bielorussia».
Queste le parole della 75enne regista polacca Agnieszka Holland pronunciate alla Mostra del Cinema di Venezia lo scorso settembre alla presentazione del suo ultimo lavoro (capace di meritare il Gran Premio della Giuria), Il confine verde, quella parte di terra di foreste paludose che separa la Bielorussia dalla Polonia, dall’Europa.
Un confine forse per noi italiani meno conosciuto ma altrettanto complesso rispetto ad analoghe situazioni nel Mediterraneo descritte da Matteo Garrone in Io, capitano.

Se Garrone, pur nella crudezza delle immagini, si lasciava affascinare anche da scenari onirici tra le dune del deserto, la Holland si avvicina maggiormente alla dimensione documentaristica girando il film in un bianco/nero drammatico che lo avvicina a un reportage fotogiornalistico che pedina da vicino i rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa che cercano di raggiungere l’Unione Europea e si trovano intrappolati in una crisi geopolitica. Pedine di questa guerra sommersa, le vite di Julia, un’attivista di recente formazione che ha rinunciato a una confortevole esistenza, di Jan, una giovane guardia di frontiera, e di una famiglia siriana si intrecciano.
Il film si divide in capitoli in una narrazione a episodi che tuttavia riunisce coralmente le parti in causa, fedele alla complessità del reale.

La Holland, forte non solo del suo talento ma anche di una esperienza di vita e di cinema civile, realizza un lavoro necessario e coraggioso che commuove, ma fa anche riflettere sulla complessità di un mondo cinico e crudele che davanti ai rifugiati dimentica quei principi di giustizia, uguaglianza e solidarietà su cui l’Europa dovrebbe fondarsi.
 

Davide Bracco
NP febbraio 2024

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