Casa popolare

Pubblicato il 15-11-2023

di Marco Grossetti

Ti siedi per terra nella tua nuova casa vuota, fai un sospiro, guardi fuori dall'altissimo del piano numero quindici e vedi tutto quello che avete passato. Quanto deve essere grande il tuo cuore di mamma per riuscire a farci stare tutto dentro. Tu, l'uomo gigante che hai avuto al tuo fianco, i tuoi bambini, prima uno, poi due, adesso tre, che guardi negli occhi senza dovere abbassare lo sguardo perché stanno diventando grandi quanto il loro papà, il viaggio lungo, lunghissimo che avete fatto insieme. Sei arrivata, finalmente. Guardi oltre l'orizzonte, distingui i posti nella città dove hai ricevuto aiuto e quelli dove venivi cacciata come un'appestata, per il nero della tua pelle o per il verde delle tue tasche, ricordi i momenti in cui avresti voluto sparire sotto la terra e gli attimi in cui riuscivi ancora a credere di potercela fare.

Hai aspettato per anni la concessione di un alloggio di edilizia popolare, perché come per tutte le cose utili davvero, ci sono una manciata di posti e una montagna di domande, liste d'attesa lunghissime e un tempo infinito prima che arrivi il tuo turno. Tu e i tuoi bambini siete passati dalla prigione, denunciata di una cosa bruttissima per cui sei stata assolta dopo che ti avevano portato via tutto: il tuo negozio, la tua casa, il tuo onore. Ricordi solo le tue lacrime e le loro lacrime, che cadevano inconsolabili e incontrollabili, perché lì dentro la tristezza era contagiosa e quando piangevi tu piangevano anche loro, quando piangevano loro piangevi anche tu. Non hai avuto indietro niente e hai ricominciato da zero come avevi fatto al tuo arrivo in Italia. La casa della paura dove avete vissuto per anni era l'unica che ti potevi permettere, sembrava quella di via Matti numero zero della canzone per bambini.

La porta sulla strada non c'è più, è un palazzo dove può entrare e uscire liberamente chi vuole a qualsiasi ora del giorno e della notte. Per raggiungere l'ultimo piano, bisogna salire una serie interminabile di scale nell'oscurità più totale, perché nel condominio non c'è nemmeno una piccola lampadina che funziona. In casa ci cadeva la pioggia e c'erano le pozzanghere, quello che rimaneva del tetto sembrava poter crollare da un momento all'altro sopra la vostra testa; dentro faceva più freddo che fuori, la giacca la si teneva anche per mangiare e per dormire. Non c'era l'acqua calda e, se c'era bisogno di lavarsi, la si riscaldava pentola dopo pentola sopra il fuoco. I segni sul corpo delle ustioni sopra la tua bambina per l'acqua bollente caduta lungo il tragitto dalla cucina al bagno, i segni sul cuore, ogni volta che la sera tornavate a casa e facevate cinque piani di buio per raggiungere la porta d'ingresso: voi che salivate in silenzio, cercando di non sbattere contro i topi e gli spacciatori che scendevano.

Poter andare a scuola, mangiare qualcosa di caldo a mensa facendo le scorte anche per la sera, stare almeno qualche ora in un posto normale, all'uscita correre verso l'Arsenale della Pace per passare ancora qualche ora in un posto caldo e illuminato, prima che scendesse la notte. Il servizio di assistenza legale con patrocinio gratuito attivato grazie alla generosità di un avvocato per capire come uscire da quella casa maledetta, chiudere le partite IVA e avere diritto a ricevere un aiuto abitativo dal Comune, i contatti con il nucleo di prossimità dei vigili per capire se lì ci poteva davvero vivere qualcuno o se era tutto troppo pericoloso, gli aiuti attivati dai Servizi Sociali e la comunità dove hai trovato rifugio. Guardi fuori e vedi tutte le persone che ti hanno dato anche solo un piccolo aiuto dentro questo viaggio, guardi dentro e vedi i tuoi bambini che corrono felici da una stanza all'altra pensando di abitare in un grattacielo. E piangi.


Marco Grossetti
NP ottobre 2023

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