Pace: un dono da chiedere

Pubblicato il 22-09-2011

di Giuseppe Pollano


La pace, fra noi uomini si dice, si programma, si studia, si promette. Tutto ciò serve a creare delle buone disposizioni. Ma se la si vuole autentica, allora essa va chiesta a Dio, implorata dal profondo dell’anima, con cuore umile, dolente e colmo di speranza.

di Giuseppe Pollano


 

Siamo di fronte a una situazione angosciosa: la pace come ottimale dell'esistenza, per tutti i beni che ci procura e tutti i mali che ci evita, non è alla portata dei nostri cuori terreni. Non riusciamo a conciliare in modo felice uno nostri bisogni fondamentali, il dominare, con quello ancora più fondamentale del convivere; gli uomini e le donne in cui l' «animus dominandi» è più accentuato, presto realizzano, con gli altri, rapporti carichi di potenza ideologica, economica, politica, dalla seduzione intellettuale alla brutalità atroce, e sventuratamente privi di amore.

In questo modo il gioco di Caino
e il «mors tua, vita mea» diventa regola storica. Anche nella vita religiosa, se vi prevale l'umano, i biblici pastori invece di pascere le pecore se ne pascono. È in contrasto con tale sfondo, è guardando a questa umanità lacerata e nemica di se stessa, in odio e lacrime, che si comprende come la pace non sia possibilità storica, ma solo dono che viene da altrove, e precisamente dall'alto, nella persona umanizzata del Figlio di Dio.

Né capiremo mai a sufficienza Gesù Cristo re di pace, se non ci immergiamo nella continua «pace mancata» del mondo, fino a toccarne il fondo, per poi emergere istruiti sulla nostra tragedia e disposti a guardare umilmente a Lui come all'unica nostra possibilità di pace.

Egli può ciò che a noi è impossibile. Egli, dice la Scrittura, non sopporta muri: li abbatte, fra noi e Dio, fra noi e noi; li travolge con amore e sangue sacrificato, li annulla con la benevolenza, li rende assurdi con il dono e il perdono.

E questa sua potenza - meglio dire onnipotenza - di pace, non soltanto la realizza in se stesso, ma ce la dona. Ecco il punto sul quale non possiamo equivocare. La pace, fra noi uomini si dice, si programma, si studia, si descrive, si promette; e tutto ciò serve a creare delle buone disposizioni. Ma se la si vuole autentica, quella appunto che solo Dio fatto uomo è in grado di trasformare in storia vissuta, in spade forgiate in vomeri, allora essa va chiesta e non a fior di labbra; va implorata dal profondo dell’anima, con cuore umile, dolente e colmo di speranza.

È probabile che chiederla a Dio
così, con forza drammatica di fede, come chiederemmo la salute di un fratello molto malato, noi cristiani non sappiamo ancora farlo. Invece il dono, che non si compra, si deve insistentemente sollecitare, testimoniando a Dio la nostra fiducia d'amore e la nostra umiltà di poveri. Un programma che papa Benedetto ci ha indicato, e non solo per un giorno. «Chiedete e vi sarà dato» è la promessa divina.

È questo il primo grande impegno di chi si sente responsabile. Il primo modo di costruire la pace, ossia di disporre in modo nuovo menti e cuori, punti di vista, linee di pensiero, strategie per il mondo: perché solo lo Spirito può tramutare i cuori di pietra in cuori di carne.

I costruttori di pace, i campioni della settima Beatitudine, quanti miracoli hanno già operato, nei millenni. Credendo in Dio, hanno guardato l'uomo, e vissuta la loro vita spinti dall' «animus serviendi», opposto di quello dei dominatori e scelto espressamente da Dio per salvarci: «Io sono in mezzo a voi come colui che serve».

I costruttori di pace fanno così. Affrontano situazioni, vogliono ricostruire fiducie, annullare paure, ristabilire vita e relazione, credendo fermamente che tutto ciò è possibile se si è con Dio, che non fa certo il secondo nelle loro opere. Essi sono, in sostanza, il segno reale che la pace è già venuta fra di noi, che il «come in cielo, così in terra» non è utopia. L’unico segno credibile, perché gratuito e sostenuto da vero amore.

Il dono della pace rimane dono, in conclusione, e come tale va chiesto umilmente e ottenuto; ma poi, tesoro nostro, diviene storia vissuta per le strade del mondo, incontro a tutta la gente. Allora diviene storia vera di un sogno che non è più sogno, ma la parte più vera della vita, o, per dirla con Pascoli, «l'infinita ombra del Vero». Dio e la sua pace sono uno.

Giuseppe Pollano
da La Voce del Popolo, 30 luglio 2006

Vedi il dossier:
Mons. Giuseppe Pollano - riflessioni inedite per la Fraternità del Sermig

 

 

 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok