Laboratorio famiglia/6: Vita di coppia

Pubblicato il 31-08-2009

di Simone Baroncia


Pubblichiamo tre interviste realizzate per noi durante un convegno svoltosi alla Cittadella di Assisi nella scorsa primavera, dal tema "Uguali come due gocce d'acqua".


di Simone Baroncia


Intervista a Rosella De Leonibus
: "CAMBIARE ROTTA"

Intervista a Elena Besozzi: "APRIRSI ALL’ALTRO"

Intervista a Giancarlo Bruni: "LA TEOLOGIA DELLA COPPIA"








Intervista a Rosella De Leonibus:
CAMBIARE ROTTA

La psicoterapeuta Rosella De Leonibus punta sulla differenza della coppia per ritrovare la sua identità, che converge all’unità, perché una mancanza di identità solida produce una crisi di coppia.

Come vive la coppia il modello della differenza e dell’identità?
Sappiamo molto bene quanto sono cambiate le relazioni di coppia; quanto è cambiato il modo in cui la coppia si forma, le tappe che attraversa; ed anche quanto è complicato, rispetto ad un tempo, strutturare percorsi di coppia duraturi e stabili. La coppia si forma in due situazioni che possono essere polari: da un lato c’è la tendenza nei giovani a fare coppia fissa anche molto presto. Questo ci aiuta a capire quale bisogno di sicurezza e di affetto hanno i ragazzi quando si sentono persi. Spesso questa coppia, formata in età adolescenziale e che diventa coppia coniugale, si porta dietro questa tensione. L’appoggiarsi l’uno all’altra diventa la cifra fondante di quella coppia, che poi naturalmente, appena i due individui diventano adulti, diventa insufficiente a mantenere i legami e quel tipo di coppia andrà in crisi. In questo caso i ruoli si strutturano in età adolescenziale e sono un ruolo un po’ protettivo da parte del ragazzo e un po’ dipendente da parte della ragazza. Spesso questo tipo di coppia salta quando la ragazza raggiunge una sua maggiore indipendenza. È più difficile per l’uomo modificare il proprio rapporto, perché è abituato ad una formula asimmetrica del potere e quindi non si flessibilizza.

Un altro tipo di coppia, oggi molto presente, è la coppia costituitasi tardivamente, intorno ai 30-35 anni le donne e qualche anno più in là gli uomini, quando si incomincia a sentire il bisogno di stabilità. Questo tipo di coppia viene a costruirsi con un equilibrio migliore dei ruoli, perché tutti e due sono già adulti. Ma è un equilibrio a spese della coppia, cioè la coppia rimane nell’individualità. L’altra era molto fusionale, questa invece è basata sui singoli individui, che fanno un patto di vita insieme. Spesso c’è anche un forte sentimento, un forte coinvolgimento affettivo, ma nella quotidianità questo tipo di coppia vive abbastanza separato.

Entrambi i tipi di coppia hanno un momento forte e di cambiamento quando arriva il primo figlio, perché il figlio fa “scoppiare la coppia”, cioè chiede alla coppia una tensione forte di trasformazione. Mentre per il primo tipo di coppia spesso il figlio aumenta la consistenza o la fragilità del legame, per il secondo tipo il figlio diventa la possibilità di condividere qualcosa di più.

Oggi la differenziazione dei ruoli dentro le coppie è più articolata di un tempo, più soggettiva. Le soluzioni sono tante. Assai più spesso che in passato si assiste ad una modularità dei ruoli, assunti dall’uno o dall’altra secondo le necessità. Con la mobilità del lavoro può capitare che il partner maschile è disoccupato e la partner femminile lavora moltissime ore. Allora diventa naturale per l’uomo assumere compiti quotidiani, dalla gestione dei bambini fino alla casa. Così come esistono, nel contempo, situazioni date dalla tradizione: molti uomini vivono ancora con una certa sofferenza il fatto che la partner, per esempio, guadagni più di loro.

Siamo in un periodo in cui la tradizione e l’innovazione si danno la mano e la coppia avverte la crisi. Quello che servirebbe forse è un confronto forte tra le coppie, per capire come tutti siamo in transizione ed abbiamo da ricostruire un modello nella diversità.

Bisogna ripensare la diversità della coppia?
Sostanzialmente sì. In passato non c’era, perché si doveva aderire al modello patriarcale. Questa adesione oggi è saltata, ma non si è ancora sviluppata la mentalità di una costruzione stereofonica della coppia come “uter”. “Uter” significa “e l’uno e l’altro”, cioè “entrambi”, e la presenza di due visioni del mondo e di due modi di percepire e di approcciarsi alla realtà è una ricchezza enorme. Se questa ricchezza viene azzerata, si perde la ricchezza della differenza. Oggi, con un mondo così complesso, che chiede sempre più alle persone, come adulti e come genitori, la capacità di fronteggiare i diverbi è una ricchezza in più per i legami, perché un legame che si articola nella differenza resiste meglio al tempo e permette alle due persone di continuare ad esistere come due individui, pur essendo in coppia. Se c’è una differenza nella visione del mondo, forse ci sarà la possibilità di un’articolazione di soluzioni migliori per la quotidianità.

Simone Baroncia

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Intervista ad Elena Besozzi:
APRIRSI ALL’ALTRO

Siamo animali simbolici, perché pensiamo. Secondo la prof.ssa Elena Besozzi - sociologa della conoscenza all’Università Cattolica di Milano - il genere umano è interprete della natura con la cultura. Perciò la relazione è un’attribuzione di senso: il maschile e il femminile sono due sguardi diversi sul mondo ed è importante che restino agganciati.

Perché bisogna aprirsi all’altro nella diversità?
Credo che l’esperienza dell’alterità sia un’esperienza fondamentale, umana. Oggi è diventata un po’ il fuoco attorno a cui si aggregano numerose problematiche sociali, e ne parliamo molto perché, per esempio, le culture “altre” rappresentano un’alterità vistosa. Però non è una scoperta di oggi. L’alterità è dentro ciascuno di noi come esperienza esistenziale nel processo di crescita e di maturazione: se non ci fosse l’altro non cresceremmo mai. Non riusciremmo nemmeno ad imparare a parlare.

In questa alterità si riscontra anche un’unità?
È una linea di tendenza, quella dell’unità. Ognuno di noi ha bisogno delle due cose: ha bisogno di distinguersi ed ha bisogno di immedesimarsi. Questo gli psicologi lo sanno molto bene: sono due tensioni che il soggetto possiede proprio antropologicamente. Io vado verso l’altro e però mi rendo anche autonomo, ho bisogno di libertà. Tutta la nostra esistenza è giocata su una continua tensione tra i due opposti. L’unità è raggiungibile ma è sempre, comunque, precaria, non è mai definitiva.

Questa precarietà è forse dovuta ad una comunicazione fatta male?
La precarietà è dovuta all’umano, in quanto tale, che ha sempre dei limiti. In realtà sarebbe ossessionante pensare ad una coppia che ha raggiunto l’armonia una volta per tutte. Sarebbe un po’ come la cristallizzazione di un processo. Invece noi siamo “dentro” i processi. Non credo che esista la coppia perfetta. Esiste invece una vita di coppia che è attraversata da continui dinamismi, e fortunatamente sono dinamismi di processi di crescita. La perfezione è una linea tendenziale; non è una cosa che uno ha raggiunto una volta per tutte.

Simone Baroncia


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Intervista a Giancarlo Bruni:
LA TEOLOGIA DELLA COPPIA

Oggi che senso ha parlare di genere maschile e femminile in un mondo in cui non c’è più distinzione? Per il biblista padre Giancarlo Bruni - monaco di Bose - significa la riscoperta delle relazioni. La relazione implica il riconoscimento dell’alterità e della responsabilità nella libertà, perché la coppia è sinodalità. La sinodalità implica l’accoglienza e la conservazione dentro di sé della parola dell’altro.

Perché il maschile e il femminile sono immersi in una “babele di linguaggi”?
Possiamo parlare di una babele di linguaggi perché ancora non è definibile in termini chiari per tutti in cosa consista il maschile e in cosa il femminile. Viviamo in una situazione in cui, dinanzi ad una produzione letteraria ed espressiva diffusa sul femminile, manca una ripresa del tema sul maschile. Vi è quindi uno squilibrio tra il pensare il femminile e il pensare il maschile. Manca qualcosa che ci parli sul serio del maschile. Anche quando parliamo del femminile, però, abbiamo pluralità di tendenze, di pensieri e di espressioni. In questo senso viviamo in un immenso laboratorio.

Quale significato ha leggere la coppia attraverso l’icona della Trinità?
Leggere la coppia attraverso l’icona della Trinità vuol dire ricondurre la coppia al suo grande archetipo, di cui la coppia è il prototipo. Ecco perché io consiglio sempre ad ogni coppia di avere in casa l’icona della Trinità. La Trinità è unica nella distinzione. Dio è uno e si chiama Padre che ha un Figlio che si fa grazia nello Spirito Santo di comunione: è l’archetipo. Questo archetipo di unità nella distinzione, allo stesso tempo nella reciprocità, nell’amore, nel rispetto dei volti e nel rispetto dei nomi, diventa davvero l’icona della coppia: un’unità di due “tu”, il tu maschile e il tu femminile. Una distinzione nella reciprocità, nell’amore, dove è importantissima l’unità: i due sono una sola cosa.

La coppia si deve anche aprire all’icona della Pentecoste?
Ecco l’icona della Pentecoste: andate. Dio dice alla coppia semplicemente questo: voi, nella Chiesa e nella storia, siete il prototipo della relazione umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio. La coppia è deprivatizzata; è oltre se stessa; è un dono di Dio alla Chiesa. Le Chiese, vedendo la coppia, vedono se stesse: sono chiamate all’unità sostanziale nel rispetto delle proprie confessionalità. Nel rispetto dei propri nomi e dei propri volti. Arrivare all’unità nella totalità; arrivare all’unità nella distinzione. Così anche nella società, presa dall’uniformità della globalità del mercato unico e presa dalla lotta dei regionalismi che si chiudono, la coppia diventa il seme di come Dio sogna il mondo e la società: una unità di fondo ma nel rispetto della pluralità delle nazioni. La coppia, piccola cosa, è un sacramento, un segno.

Monachesimo e coppia sono due facce di una stessa medaglia?
Sì. Mentre la coppia diventa il segno dell’unità in una distinzione e diventa il sacramento di come Cristo ama la Chiesa, il monachesimo nella Chiesa è un’icona escatologica. Il monachesimo dice che nel futuro dell’umanità l’unità rimane, la distinzione rimane; ma non sarà più coniugata sessualmente. Ecco perché la vita comune nel celibato, a voler dire che il futuro sarà di una fraternità e sororità, dove in Dio tutti ci ameremo ma l’amore non sarà più coniugato sessualmente. Il monachesimo ricorda alla coppia che passerà l’esprimere l’amore in questa maniera e nello stesso tempo la coppia ricorda al monachesimo che nel frattempo della storia Dio manifesta il suo amore per l’umanità attraverso l’amore dell’uomo per la sua donna ed attraverso l’amore della donna per il suo uomo. Uno profetizza il futuro, l’altro è il sacramento dell’amore di Dio per l’umanità e di Cristo per la Chiesa.

Simone Baroncia

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Laboratorio famiglia/1






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