Il cardinale martire

Pubblicato il 04-09-2013

di Matteo Spicuglia

Il card. Van ThuanFrançois Xavier Nguyên Van Thuan ha scritto alcune delle parole di speranza più intense della spiritualità cristiana. Uscivano di nascosto dalla prigione, dove è stato dal 1976 al 1988. Con mons. Crepaldi, suo stretto collaboratore nel Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace", ripercorriamo la grande testimonianza di questo martire della fede.

intervista di Matteo Spicuglia

 

Il card. Van ThuanLa vita del card. Van Thuân condensa la storia e le sofferenze del '900. Prigioniero per 13 anni nelle carceri del suo Paese, sotto la dittatura comunista, il cardinale fu un Vangelo vivente: oppresso ma mai vinto, perseguitato ma sempre aggrappato alla speranza. E fu proprio nella prigionia che approfondì la sua esperienza di fede, celebrando messa con gocce di vino e briciole di pane, diventando amico dei suoi carcerieri, perdonando. Nel 1988, la scarcerazione e l'arrivo in Vaticano, dove fu nominato presidente del Pontificio Consiglio "Giustizia e Pace" e avviò la redazione del 'Compendio della dottrina sociale della Chiesa', oggi tradotto in quaranta lingue. Amico del Sermig, il cardinale Van Thuân morì il 16 settembre del 2002, dopo una lunga malattia, con la stessa fede che lo aveva sostenuto in vita e che potrebbe portarlo presto agli onori degli altari. "Quanti avevano la fortuna di incontrarlo - spiega Giampaolo Crepaldi, segretario di "Giustizia e Pace" e stretto collaboratore del cardinale - avvertivano, con immediata percezione, di trovarsi di fronte a un singolare uomo di Dio e a un singolare uomo di preghiera, che riconduceva tutto a Dio e che in tutto riconosceva la mano di Dio".

Eccellenza, cosa le ha insegnato il card. Van Thuân?
"Mi ricordo che quando, nel disbrigo delle pratiche e delle attività quotidiane, insorgevano problemi difficili da risolvere, il cardinale era solito rassicurarmi esclamando, con evangelica semplicità: 'Non si preoccupi, il Signore ci salva!'. Non fuggiva dalle sue responsabilità, ma riportava tutto sotto la prospettiva giusta della volontà misericordiosa di Dio e del Suo amore provvidente. Tutto è nelle mani di Dio e tutto va posto nelle sue mani, senza resistenze e con assoluta fiducia".

La testimonianza di Van Thuân è legata in profondità alla negazione della libertà religiosa. In che misura, l'esperienza della prigionia ha segnato e formato la sua fede?
"Durante quei tredici anni, il cardinale affrontò e patì la durissima prova della solitudine e l'angosciante tentazione della disperazione. Proprio in quella terribile desolazione esistenziale, che lo aveva privato di ogni riferimento umano e di tutte le relazioni ecclesiali, la sua anima ebbe la grazia di non disperare, ma di aprirsi al gioioso riconoscimento dell'amore di Dio. Dio gli si manifestava come il Tutto. Questo gli bastava a ridimensionare il peso e la sofferenza della privazione della dignità personale e della libertà: quando si è in comunione con Dio, che è il Tutto, perché lasciarci angustiare dal resto? Ecco qui, in termini essenziali, la piena e profonda verità di un cristianesimo vissuto santamente, in maniera esemplare. Fu questo veramente il grande segreto del cardinale Van Thuân".

Walter Habdank, Storm at seaAl dolore di quegli anni, il cardinale rispose con il perdono e con un messaggio di riconciliazione. Come ci riuscì?
"Meditava, in quei giorni terribili, sulla domanda dei discepoli a Gesù, durante la tempesta: 'Maestro, non ti importa che moriamo?' (Mc 4,38), finché una notte, dal fondo del cuore una voce gli parlò: 'Perché ti tormenti così? Devi distinguere tra Dio e le opere di Dio, tutto ciò che hai compiuto e desideri continuare a fare, visite pastorali… sono opere di Dio, ma non sono Dio! Tu hai scelto Dio solamente, non le sue opere!'. Questa luce gli portò una forza nuova, che cambiò completamente il suo modo di pensare. Così seppe vivere nella gioia del Cristo risorto, nel perdono, nell'amore e nell'unità. Questo suo atteggiamento fece cambiare pure i suoi carcerieri, che diventarono suoi amici".

In che modo?
"Lo aiutarono persino, di nascosto, a ricavare una croce da un pezzo di legno e poi a fare anche la catena, col filo elettrico della prigione, che egli portò sempre, perché gli richiamava l'amore e l'unità che Gesù ci ha lasciato nel suo testamento. Quella catena sostenne sempre la sua croce pettorale di vescovo e poi di cardinale, quella vecchia croce di legno, ricoperta con un po' di metallo. Croce di testimonianza eroica, croce d'amore".

L'esempio di Van Thuân è anche un messaggio per l'Asia, dove il tema della libertà religiosa rimane cruciale…
"Il cardinale sognava e sperava nell'evangelizzazione dell'Asia. Sperava con tutte le sue forze e diffondeva speranza. Ed è proprio la virtù della speranza che Giovanni Paolo II ha usato, durante l'omelia esequiale in San Pietro, come chiave di lettura della personalità del cardinale Van Thuân. Disse, infatti, di lui: "Egli ha posto l'intera sua vita proprio sotto il segno della speranza.…A tutti, anche in questo momento, egli sembra rivolgere, con suadente affetto, l'invito alla speranza. Quando, nell'anno 2000, gli domandai di dettare le meditazioni per gli Esercizi Spirituali della Curia Romana, egli scelse come tema: "Testimoni della speranza". Ora che il Signore l'ha saggiato "come oro nel crogiuolo" e l'ha gradito "come un olocausto", possiamo veramente dire che "la sua speranza era piena di immortalità" (cfr. Sap 3,4.6). Era piena, cioè, di Cristo, vita e risurrezione di quanti confidano in Lui".

intervista di Matteo Spicuglia
da Nuovo Progetto giugno/luglio 2008







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