BRASILE: nuove generazioni in cerca di amore

Pubblicato il 12-07-2011

di Matteo Spicuglia

Un focus sulla realtà giovanile del Paese da un osservatorio molto particolare: intervista a Simone Bernardi dell’Arsenale della Speranza – Sermig.

di Matteo Spicuglia, korazym.org

SAN PAOLO (Brasile) - I giovani brasiliani non cercano altro che “qualcuno che li ami davvero”, in una società competitiva in cui domina “la paura di rimanere tagliati fuori”. È la realtà toccata con mano ogni giorno dal Sermig, anima dell'Arsenale della Speranza di San Paolo, un centro di accoglienza e di formazione per i più poveri che accoglie ogni giorno oltre 2mila persone. La fraternità fondata da Ernesto Olivero da dieci anni ha esportato in Brasile l'esperienza di apertura agli ultimi vissuta a Torino, anche grazie alla presenza sul posto di giovani missionari. Simone Bernardi è uno di questi ed è la persona ideale per fare il punto sulla condizione delle nuove generazioni del Paese, perché all'Arsenale i giovani arrivano con le loro ferite, ma anche con le loro potenzialità. “Accogliamo centinaia di ragazzi tra i 18 e i 25 anni – spiega a Korazym.org - che si trovano sulla strada per la mancanza di una famiglia, di un lavoro, di istruzione o per problemi di alcool e droga”. Ma all'Arsenale “ci sono anche uomini che non hanno potuto vivere la loro gioventù, privi di prospettive e di speranza”.
Una realtà complessa...
“Sicuramente, anche per i giovani più fortunati, che magari hanno accesso ad una facoltà universitaria e ad una buona occupazione. In molti casi, non hanno tempo né per loro stessi, né tanto meno per occuparsi dei problemi della società:

Lorenzo Nacheli del Sermig incontra un gruppo di giovani brasiliani
per poter sopravvivere e garantirsi un futuro, sono obbligati a lavorare di giorno, andare a scuola di sera e studiare nei fine settimana. Il tempo per fare un’esperienza di volontariato, per confrontarsi, per formarsi una visione politica, approfondire il proprio credo religioso, é molto difficile da ricavare, perché schiacciato dalla paura di rimanere tagliati fuori da una società molto competitiva. Ci sono comunque anche segnali di speranza”.

Quali?
“Molti giovani partecipano a gruppi organizzati, si impegnano in attività di giustizia e solidarietà, sebbene tutti, nessuno escluso, siano continuamente esposti al martellamento di ciò che la società, anche qui, propone in modo assillante: consumismo, denaro, potere, sesso facile, violenza. Tutte cose che puntano ad indebolire i giovani e non certo a farli crescere”.
Il Sermig è una scommessa che ha puntato molto sulle nuove generazioni. Qual è il significato profondo della vostra presenza in una metropoli come San Paolo? Quali frutti, quali fallimenti?
“Vivendo qua, ci siamo accorti che alle nuove generazioni questo Brasile e questo mondo – che vive per lo più di potere, di egoismo, di indifferenza – non piace. Ma oggi è difficile per i giovani prendere l’iniziativa, sono costretti ad “obbedire alle regole” e rinunciare ad ideali importanti, ad occupare un posto solo come consumatori e non per esprimere sentimenti, idee, attese. Eppure così non c'è futuro. Il Sermig, a Torino, a San Paolo, a Madaba, da anni ha deciso di scommettere sui giovani italiani, brasiliani, del Medio Oriente, che hanno ancora voglia di provarci. Sembrano una minoranza, ma sono il segno che se i giovani trovano qualcuno che gli dice: “io credo in te”, portano frutto e producono speranza per se stessi e per gli altri”.

Insomma, in fondo non esiste una grande differenza tra giovani di Paesi diversi...
“Nella sola metropoli di San Paolo vivono oltre 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni: l’Arsenale lavora ogni giorno con i più poveri tra questi e anche se la loro situazione é più difficile (forse solo apparentemente) di quella dei giovani che frequentano l’Arsenale di Torino, la sfida e la tensione sono le stesse. Nostro obiettivo è fornire risposte concrete alle esigenze più materiali, ma essere soprattutto luoghi di preghiera, di cultura, di formazione permanente”.

In concreto, come si manifesta questa volontà?
“Seppur nella grande sproporzione rispetto alle nostre forze, abbiamo cominciato ad uscire sempre più spesso dalle “mura” dell’Arsenale, per cercare, insieme ai vari gruppi che operano nel settore della Gioventù dell’arcidiocesi di San Paolo, di mantenere alta questa tensione. Ed è proprio in questo contesto che, in occasione della visita di Benedetto XVI, é nato il Progetto “Azione solidale della Gioventù FORESTA CHE CRESCE”. Un'iniziativa che ha coinvolto i giovani di tutto il Paese in progetti concreti di solidarietà e di apertura verso gli altri. I frutti (e se volete, anche i temporanei “fallimenti”) di questa iniziativa li potete verificare voi stessi sul sito www.florestaquecresce.org.br”.

La Home del sito di "Foresta che cresce"

Cosa si aspettano i giovani brasiliani?
"Grazie a figure come dom Luciano Mendes de Almeida che ha avuto fiducia nel carisma del Sermig, abbiamo imparato a leggere i segni dei tempi. L’ultimo sono proprio i giovani, che anche qui, come altrove, vanno messi davanti a tutto il resto perché sono la forza del domani. Eppure bisogna essere realisti e riconoscere che oggi non è così. La risposta più vicina alle attese dei giovani brasiliani, quindi, è avere qualcuno che li ami davvero. E chi ama veramente i giovani non sta a guardarli mentre se ne vanno da un'altra parte, ma tenta di tutto affinché possano scoprire, anche attraverso la fatica della vita, la creatività e la bellezza che è seminata in loro”.
Si parla spesso della presenza delle sette cristiane. È un fenomeno che tocca anche le vostra azione?
“Il fenomeno delle sette e delle chiese pentecostali in Brasile é noto, ed interessa tutti gli strati della società. Tanti poveri si allontanano dalla Chiesa cattolica perché la sentono poco vicina e vanno da chi gli promette guarigioni, prosperità e molto altro. Basta percorrere la strada su cui si affaccia l’Arsenale per incontrare diverse filiali di queste “chiese”. Conversando con i nostri ospiti si capisce come tanti di loro vi siano già entrati ed usciti diverse volte. L’essere fisicamente vicini alle persone, lo stare con loro, l’ascoltare le loro storie ci aiuta a capire il perché di queste “migrazioni”, ci costringe ad essere più semplici, ad andare più a fondo nel nostro incontro con Gesú, per trovare insieme, in Lui, la vera ragione della nostra speranza”.

Sei un giovane missionario che ha lasciato da poco l'Italia per il Brasile. È umanamente difficile?
“Nella Fraternità del Sermig c’è l’abitudine di salutare chi parte per un luogo – che può essere più o meno lontano – con questa frase: 'Nessuno parte e nessuno arriva, restiamo sempre alla Presenza del Signore'. Può sembrare una frase poetica, in realtà significa che la cosa più importante non è se siamo in Brasile o in Italia, ma cercare di vivere tutto questo alla Presenza del Signore. Per cui una cosa che può sembrare umanamente difficile (interrompere un cammino iniziato da un’altra parte, delle relazioni di amicizia ecc) diventa normale e naturale, perché affrontata alla luce di questa Presenza e con una forza che non è solo la mia".

Cosa ti sta dando questa esperienza?
"Sto cercando di viverla come un dono prezioso. Mi sta servendo moltissimo l’esperienza di questi anni all'Arsenale della Pace di Torino, dove ho imparato che ricevere un primo ministro o raccogliere un pezzo di carta per terra possono avere lo stesso valore, se fatti con uno spirito di servizio. Non avrei mai pensato di poter venire un giorno a 'condividermi' con i più poveri di San Paolo. Ora ci sono, ma la cosa che conta di più è la mia scelta di vita, difendere la mia vocazione, poi il tempo mi darà modo di addentrarmi sempre più nella vita di questo popolo”.

di Matteo Spicuglia
L’intervista è stata pubblicata in data odierna su korazym.org

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