L’amore e il servizio

Pubblicato il 11-06-2013

di Ernesto Olivero

Da dom Luciano Mendes a frère Nour, in Libano, emerge l’insegnamento, testimoniato da fatti concreti, che l’amore è servizio e il servizio è amore. Anche in politica.

 

A Beirut, nei giorni scorsi, ho incontrato un mistico. Forse, quando iniziò la sua vita da cristiano, aveva fatto ridere molta gente: aveva strappato i suoi documenti, si era spogliato dei suoi vestiti e andava in giro scalzo con indosso un saio fatto con tela di sacco. Lo conobbi nel 1988, in piena guerra civile libanese. Non mi fece ridere. Riconobbi in lui un cristiano. Quest’uomo porta il nome di frère Nour, fratello Luce. Oggi è l’uomo più amato e stimato da chiunque in quella tormentata zona del Medio Oriente.

I poveri sono aiutati da lui giorno e notte, e non solo i cristiani. E molti potenti, discretamente e umilmente, si recano da lui per parlargli, confrontarsi, chiedere consigli. Ha tirato su una delle più grandi reti televisive del Medio Oriente, Télé Lumière; le comunità di accoglienza a cui ha dato vita non si contano, così come i centri di formazione.

A lui abbiamo affidato gli aiuti per il Libano raccolti all’Arsenale della Pace. Quando ci siamo salutati, mi ha anche ricordato la frase del vangelo “Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora fede sulla terra?” e mi ha lasciato questo messaggio: “Il mondo è pieno di cose drammatiche e di guerre che distruggono e aumentano giorno dopo giorno. Tutto il mondo soffre di queste paure, violenze e terrorismo che possono portare al pericolo di una guerra atomica e distruttiva causate da fautori di morte e non di vita. Chi produce la morte non produce la vita perché non ha ascoltato e riconosciuto il Signore Gesù e noi cristiani abbiamo una grande colpa, perché non abbiamo fatto lo sforzo necessario per testimoniare il Signore Gesù e la sua resurrezione; non siamo stati figli di carità e speranza. Ecco il giorno in cui il Signore ci chiama per vedere le cose negative e mettere davanti a noi queste difficoltà della nostra epoca per portare nel mondo la missione che abbiamo ricevuto nel giorno del battesimo; per portarLo al mondo nelle nostre labbra, nelle nostre menti e nei nostri cuori pieni dello Spirito Santo”.

Qual è il servizio che noi cristiani dobbiamo fare? Annunciare che Cristo è morto ed è risorto e questo annuncio è credibile se noi viviamo l’amore. E l’amore è - ce lo ricorda il vangelo di Matteo al cap. 25 - dare cibo, vestiti, acqua, cure, a chi ha fame, è nudo, ha sete; è accogliere lo straniero, visitare il carcerato. I cristiani sono sempre più chiamati a rendere conto del loro stile di vita, delle scelte etiche. È sempre più difficile se pensiamo che più di un quarto dei cristiani che si considerano “impegnati” non sa neanche che i vangeli sono quattro, come ha evidenziato una recente indagine statistica condotta per Famiglia Cristiana.

Noi dobbiamo rinascere. Noi preti, ma potrei aggiungere noi laici, noi intellettuali, noi artisti, ... più carriera facciamo più dobbiamo ricordarci che siamo servi e che dobbiamo servire gli altri. Noi politici, più consenso abbiamo più dobbiamo impastarci tra la gente, camminare con i giovani, essere sale e lievito.
Un caro amico, Giorgio La Pira, mi diceva che l’impegno più importante per l’uomo, secondo solo alla contemplazione, è la politica. Oggi per noi cristiani l’impegno in politica deve diventare prioritario. Ognuno entri nello schieramento che preferisce, ma vi porti i propri sogni e una condotta ispirata a principi etici, alla trasparenza, a servizio del bene comune. Sono convinto che dobbiamo riscoprire il valore di un servizio disinteressato che fa gli “affari degli altri” senza seguire logiche di partito o interessi personali mettendosi a servizio del bene comune, rifiutando stipendi faraonici e benefici esagerati.

Nella mia vita ho incontrato ragazze e ragazzi che hanno lasciato tutto e lavorano con gratuità a servizio del prossimo. Dobbiamo saper trasmettere lo stesso sentimento a quanti entrano in politica, far loro scoprire il gusto di vivere lo spirito del “monaco della politica”, affinché si occupino della cosa pubblica con la stessa dedizione, con la stessa cura, con lo stesso amore, con la stessa professionalità.
Non mi scandalizzerò se un cristiano, schierato a sinistra o a destra, non insulta gli avversari, se mantiene la parola. Non mi scandalizzerò se al termine del suo mandato di eletto rifiuterà di ricoprire cariche in qualche ente per godere di ulteriori guadagni e prebende. Al contrario, ognuno dovrebbe poter dire come Samuele a Galgala: “Eccomi, pronunciatevi a mio riguardo alla presenza del Signore e del suo consacrato. A chi ho portato via il bue? A chi ho portato via l’asino? Chi ho trattato con prepotenza? A chi ho fatto offesa? Da chi ho accettato un regalo per chiudere gli occhi a suo riguardo? Sono qui a restituire!” (1 Sam 12,3).

Ho avuto la gioia di conoscere, direttamente o indirettamente, alcune grandi personalità politiche che hanno segnato la vita dell’Italia e dell’Europa e che si sono comportate come Samuele: De Gasperi, La Pira, Zaccagnini, Dossetti. La loro fede autentica li ha sostenuti e guidati nell’impegno politico, nelle scelte, nei comportamenti. Nessuno di loro ha usato il potere per diventare ricco.
Quante volte ho visto dei cristiani raggiungere una carica e rimanerci talmente attaccati da diventare un tutt’uno con la poltrona che occupano, tanto da perdere l’anima (una poltrona non ha un’anima!). Me la prendo specialmente con i cristiani, perché il termine cristiano è sacro e perché è importante per amore della verità dirci le cose con chiarezza.

Il cristiano che si impegna in politica e nel sociale deve sentirsi talmente preso dalla Parola di Dio da essere profetico, da essere uomo di speranza lì dove vive e dove agisce. Allora sarà segno del Regno di Dio che avanza, Regno di giustizia, di libertà, di fratellanza, vissuto anche in mezzo alle lotte e agli affanni quotidiani.

La sintesi del Vangelo è Gesù. E Gesù si è lasciato mettere in croce per salvarci, ed il suo messaggio è: «Beati i poveri, beati i miti, beati i ricercatori di giustizia, beati i perseguitati, beati…». Chi di noi può ideologizzare questo messaggio? Se noi cristiani davvero diventassimo beati secondo il Vangelo, se vivessimo alla presenza del Signore, saremmo quella luce che serve agli uomini nei momenti del loro buio. Allora, le armi tacerebbero, tramutate in strumenti di lavoro. L’amore, compagno della giustizia, regnerebbe in mezzo a noi.

La Chiesa che sogno è profezia per il domani, ma se la deve guadagnare con la credibilità del suo sudore, del suo sapersi spartire con chiunque, anche con chi crede diverso, nemico, avversario. E oggi in tutte le parrocchie del mondo, le moschee del mondo, le sinagoghe del mondo, in tutti i luoghi di cultura del mondo si dovrebbe parlare di un uomo che ho conosciuto: dom Luciano Mendes de Almeida, vescovo brasiliano recentemente scomparso. Chi ne ha mai sentito parlare? È stato un uomo che è passato per le strade del mondo e della storia portando Gesù e facendo del bene.

Ha scritto Adriano Sofri su Panorama del 14 settembre: “Olivero e i suoi lo incontrarono nel gennaio 1988 e da allora hanno stretto un sodalizio mai interrotto, che ha fatto del Sermig un’istituzione tanto brasiliana quanto torinese. Loro lo consideravano un santo, il più grande che abbiano incontrato. L’ho incontrato anch’io che non mi intendo di santi. Oppure sì, tutti ci intendiamo di santi, anche noi miscredenti. Dom Luciano era un uomo piccolo, calmo, buono e arguto. Era un prete importante, aveva presieduto la Conferenza episcopale brasiliana, ma era privo di ogni sussiego. Aveva una fede incrollabile e non aveva niente di bigotto. Stava ad ascoltare con grande pazienza e attenzione, si prodigava per i poveri e i soli. Una volta mi ha scritto: ‘Il mondo ha, senz’altro, un grande valore. Ma mi sono a poco a poco abituato a confidare nel Signore e a interpretare gli avvenimenti in chiave di eternità”.

Dom Luciano è un testimone della carità, di una carità senza veli, senza demagogia, senza retorica; di una carità vera come sono veri i poveri di cui si è occupato; di una carità incarnata nella storia. Essere testimoni della carità non è un compito riservato a qualcuno, appartiene a tutti. Non possiamo dimenticare che alla fine della storia saremo giudicati sull’amore. Ed oggi 30.000 persone sono morte per fame e altre 30.000 aspettano che io faccia qualcosa per non morire domani.

 

Ernesto Olivero

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