Il Natale che vorrei

Pubblicato il 10-08-2012

di Andrea Gotico

di Ernesto Olivero – Quello che non è stato può essere. Questa è la chiave per il presente, per il futuro. Ma la chiave da inserire nella porta del cambiamento nessuno la può girare al posto mio. Viviamo in una situazione dove la paura del futuro attanaglia, blocca, rende impotenti. Perché? Perché non facciamo di necessità virtù, non trasformiamo la paura in opportunità? Il perché non lo so. A me sembra tanto ovvio entrare in una stanza al buio e accendere la luce. Però quel pulsante che può darmi la luce dipende dalla mia volontà, dal mio cervello che comanda al dito di premere l’interruttore. Una volta si diceva: mando i figli a scuola, almeno lì sono al sicuro. Le cronache di questi tempi ci dicono che è inutile illudersi. Nella mentalità dei giovani si fa strada l’impressione che se non sei forte o spalleggiato trovi sempre qualcuno pronto a picchiarti, a sbeffeggiarti, a taglieggiarti. Ma questi fatti non compaiono oggi improvvisamente, sono il frutto di un lungo processo di degrado di cui forse non ci siamo accorti o non abbiamo voluto accorgerci. Non voglio però dare fiato al coro delle lamentele, perché sarebbe il più grande coro della storia, in cui anche i più stonati trovano posto. Ripeto, perché non facciamo di necessità virtù? Perché non premiamo l’interruttore del cambiamento di mentalità? A Natale molti si sentono buoni.

Chi perché si aspetta un bel regalo, chi un avanzamento professionale
, chi perché vuole sfoggiare un bel sorriso adatto alle feste, chi - ma non so quanti sono - perché “un uomo” è nato. Perché non facciamo diventare Natale tutti i giorni dell’anno? Se milioni di persone muoiono di fame, se ci sono decine e decine di guerre, se il più grande male è l’indifferenza, forse ognuno di noi ha portato il proprio contributo. Credo sia il momento di fare un ragionamento, una volta si chiamava esame di coscienza. E non individuare solo le colpe degli altri, scappatoia facile rincorsa alla grande, perché ci fa star bene e ci tranquillizza. Ogni volta che cammino a piedi per le strade di una qualunque città del mondo, la cosa che mi colpisce di più è il gran numero di cicche di sigaretta per terra, se ne trovano a migliaia. Questo vuol dire che per migliaia e migliaia di persone è naturale buttarle per terra. Non so se cambierò il mondo, ma per intanto quando posso le raccolgo e, se fumo, le cicche per terra non le butto. I rubinetti non li lascio mai aperti inutilmente e le luci neanche, anzi, quando le trovo accese le spengo. Sono andato diverse volte in montagna, ho raggiunto delle cime invidiabili, ma sempre un passo alla volta. Un certo giorno ho capito che Natale non è soltanto il 25 dicembre, ma ogni giorno e mi sembra di vivere meglio.
Questo è un modo per capire che la terra è di fatto amica. Non è banale pensare che i fiumi attraversano i confini senza passaporto e danno vita a tutte le Nazioni. La terra, i fiumi, gli alberi, le ricchezze, chi le ha pensate? Sono per tutti, tutti gli uomini, tutte le donne. Invece sovente hanno causato guerre, stermini inauditi. Mi sono fatto un’idea: bisogna tornare un po’ a pensare. Questo mondo cambia se torniamo agli ideali. Chi crede torni veramente a Dio. Chi fa politica torni veramente a servire. Come è possibile che, tra chi ha il potere, ci sia sempre qualcuno che lo usa per far fuori chi lo può disturbare, o per appropriarsi di privilegi e ricchezze da spartire con la sua combriccola? Cosa deve ancora capitare perché torniamo a pensare? Una guerra atomica? Un’immane catastrofe naturale? Quante lacrime dobbiamo ancora versare perché ci mettiamo a pensare? Mi piacerebbe, ma sul serio, pensare senza troppe lacrime, senza troppe atomiche, senza troppe catastrofi. Il mio augurio di cuore, ed è veramente di cuore, è che ogni lettore, insieme a noi, provi veramente a pensare che questo sia l’ultimo Natale che festeggiamo aspettando il 25 dicembre, e che sia invece l’inizio di un Natale lungo, lungo tutti i giorni della nostra vita.

Gli editoriali di NP (n.10 - 2006)

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