Non applausi, ma fatti

Pubblicato il 31-08-2009

di Elena Goisis


Il 24esimo Congresso Eucaristico nazionale, iniziato il 21 maggio, si concluderà il 29 con una concelebrazione presieduta da Papa Benedetto XVI. “Senza la domenica non possiamo vivere” è il tema di questa edizione….

di Elena Goisis

Bari. Piazza della Libertà (per gli amici: Piazza della Prefettura), ore 19.50 di giovedì 26 maggio 2005: dal grande palco nella concelebrazione eucaristica, il coro e l’orchestra esplodono nelle note dell’alleluia che si fondono in cielo con un tripudio di rondini nella luce crepuscolare di una giornata mediterranea… “non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono” (Salmo 18).
 Siamo al 24esimo Congresso Eucaristico nazionale iniziato il 21 maggio e che si concluderà il 29 con una concelebrazione presieduta da Papa Benedetto XVI.
“Senza la domenica non possiamo vivere” è il tema di questa edizione: la frase pronunziata dai 49 cristiani di Abitene (oggi Tunisia) uccisi ai tempi di Diocleziano per non aver voluto rinunciare all’incontro domenicale con il signore.

La loro colpa era essere minoranza, come minoranza oggi è la chiesa in Tunisia, come sono minoranza a volte i piccoli gruppi che nel corso della storia tengono acceso il fuoco della novità del Vangelo; ma la loro voce è giunta fino a noi. A sottolinearlo è Mons. Fouad Twal, primo arcivescovo arabo di Tunisi (22.000 cattolici, su 10 milioni di abitanti) in una di quelle pause informali in cui a parlare non sono più i discorsi ufficiali ma la verità della persona, cardinale o panettiere che sia.  

Sempre in una pausa, lo sguardo fisso sul mare che può a scelta unirci o dividerci da altre popolazioni tanto più povere di noi, mi chiedo: che Chiesa ho incontrato in questa settimana di congresso?”. Iniziato il 20esimo secolo con la presa di distanza dalla città dell’uomo, la chiesa lo chiude con la coscienza che occorre invece abitare la città dell’uomo: “profezia e competenza” è il binomio proposto da Paola Bignardi (presidente ACI) per il servizio di ciascuno alla città di tutti. “Un servizio da svolgersi con gratuità e rigore prendendo a misura i poveri, autenticato dalla capacità di pagare di persona, sotto il sigillo dato dalla liberà”.

La libertà di mani e di cuore che viene dall’operare non per il proprio interesse ma per l’interesse di tutti, una libertà che deve portare “a fatti etici”: così definisce Luigi Fusco Girard (docente all’università di Salerno) il compito di chi, da tecnico e da cristiano, si occupa di ecologia e di sviluppo: “i valori economici devono tornare a trovare fondamento nei valori ecologici”. Un cammino, quello della salvaguardia del creato, che non potrà che trarre giovamento dalla crescita dell’ecumenismo, come sottolinea Mons. Aldo Giordano, segretario del consiglio delle conferenze episcopali europee.

Il rafforzamento dello sforzo ecumenico è uno dei temi che metteranno alla prova la credibilità della cristianità del 21esimo secolo, dopo essere stato uno dei doni dello Spirito nel 20esimo. Di priorità del cammino ecumenico ha parlato Benedetto XVI appena eletto, e mercoledì 25 il Card Kasper, presidente del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Un intervento, il suo, non da idealista, non da fustigatore bensì il richiamo di un pastore il quale è ben cosciente che ad opporsi all’unità dei cristiani stanno non solo problemi dottrinali, ma anche psicologici e di perdono. I cristiani si riconoscono nella domenica ma non celebrano ancora insieme l’eucaristia domenicale: un grave tradimento del mandato all’unità consegnatoci da Gesù.

Tanti spunti, nelle prime giornate, di una Chiesa che conserva al proprio interno la “voglia di fedeltà” al Vangelo. Una voglia di fedeltà che fatica però a tradursi in trasparenza di quotidiano, in condivisione di un cammino da “popolo di Dio”. Ancora una volta mi interrogo su quale sia la chiave di volta che fatichiamo ad accettare per tornare a fare della fede una buona notizia. Mi chiedo se non sia proprio quel “martirio bianco” (così definito dall’arcivescovo di Bari Mons. Cacucci) di chi offre il proprio sangue goccia a goccia, nel quotidiano, perché il mondo abbia la vita. Un martirio rafforzato dall’eredità di chi invece è stato chiamato al “martirio rosso”: una vita offerta perché l’amore abbia la meglio sulla violenza, sulle ingiustizie, sull’indifferenza, su tutto ciò che rende bestemmia il nostro dirci cristiani.

Accanto al nome di Annalena Tonelli, martire nella Somalia islamica, il nome di Mons. Oscar Romero, ucciso 25 anni fa per essere stato buon pastore fino in fondo, ha scandito la giornata di mercoledì 25. Uno spazio, questo, dato a Mons. Romero, che fa ben sperare per la causa di beatificazione. Ma una domanda mi inquieta: perché tanti applausi Romero non li ha avuti in vita, se non dai poveri della sua terra? Perché tanti pastori come lui vengono lasciati soli a dare la vita per le loro pecore? Perché così spesso nella chiesa chi prende sul serio il giudizio finale dell’amore viene emarginato come alternativo e anticonformista?

 Un perché al quale chiedono risposta, nella giornata di giovedì 26 i testimoni della carità, coloro che non hanno aspettato di essere in tanti, di essere applauditi, per diventare “compagni di sogni di Cristo” (Don Benzi – fondatore dell’associazione Papa Giovanni XXIII). “Non mi piacciono gli applausi – risponde Ernesto Olivero (fondatore del Sermig) al primo applauso tributatogli dalla folla – se voi mi applaudite, significa che siete d’accordo con quello che dico. Ma allora la vostra vita dovrebbe cambiare, subito, diventare un sì a Dio senza ritorno, senza se, senza ma, invece la fame nel mondo c’è ancora. Perché proprio da Bari, da questo congresso, non parte una lotta senza quartiere contro la fame nel mondo?”.

Non applausi, ma fatti. È questo l’appello di Olivero dettato dall’amore per una Chiesa che a Bari ha perso delle occasioni. A Bari infatti si è parlato tanto di poveri, ma i poveri non hanno parlato. E soprattutto, si è parlato poco di giovani e con i giovani. Generosa la loro presenza come volontari, ma riservato a loro uno spazio delimitato: il Villaggio Giovani. Qui, a fianco di un percorso di formazione sulla difesa dell’embrione e di attività ricreative, tanti stand coloratissimi con persone disponibili a dire delle cose ai giovani. Ma, ancora una volta, cosa pensano loro, cosa desiderano, ai giovani nessuno lo ha chiesto.

di Elena Goisis

 

 

 

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