In cammino con Luca (14/18)

Pubblicato il 27-09-2012

di laura e giancarlo

Ricercare la gioia di Dio [1] di p. Mauro Laconi - Seguendo l'itinerario che Luca ci propone nella sezione del viaggio del suo Vangelo, siamo giunti al cap. 15, famoso per le tre parabole che contiene, normalmente chiamate della misericordia. Prenderemo in considerazione la terza, tradizionalmente denominata il figliol prodigo.


Il contesto

Il padre misericordioso abbraccia il figlio prodigoLa parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32) non è direttamente collegata a qualche avvenimento, ma è semplicemente introdotta dalle parole "disse ancora". Vediamo dunque in quale contesto si pongono le due precedenti, quelle della pecora perduta, o pecorella smarrita, e della dramma perduta. Si avvicinavano a Gesù i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo, e i farisei ne criticano l'atteggiamento di disponibilità: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro". Gesù non replica direttamente a questa mormorazione, non dà un insegnamento esplicito, ma passa immediatamente al racconto delle parabole, di cui solo la prima è comune ad un altro Vangelo, e precisamente a quello di Matteo.

Il tema delle critiche dei farisei a Gesù per il suo atteggiamento nei confronti dei peccatori si ritrova già in Marco (ad es. Mc 2,15-17) e in Matteo, ma è Luca l'evangelista che dà più spazio e maggior rilievo a questo tema. Si può mettere ad esempio a confronto l'episodio della donna che profuma i piedi di Gesù (Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Lc 7,36-50) che in Luca acquista una dimensione del tutto diversa, in quanto Luca mantiene ben poco del racconto dei due primi evangelisti, e scrive una delle pagine più toccanti del suo Vangelo. Tra le sue pagine più belle troviamo inoltre alcuni episodi e parabole che ci parlano di peccatori pentiti, come l'episodio di Zaccheo, il buon ladrone, e la parabola del figliol prodigo.
Sono pagine proprie a Luca, che non si sente in alcun modo vincolato alle precedenti tradizioni evangeliche, e riesce ad esprimersi in tutta originalità, scrivendo dei piccoli capolavori, senz'altro tra le pagine più belle di tutto il Nuovo Testamento.


La parabola

È una delle parabole più conosciute ed amate dei Vangeli, che è stata letta lungo i secoli in chiavi un po' diverse da quella usata oggi. Vi è stato un abuso di interpretazione allegorica nei primi secoli. Infatti questa parabola si presta molto bene ad essere usata come allegoria, e senz'altro entro certi limiti ciò risponde alle intenzioni dell'autore: alcuni particolari hanno un valore didattico, esegetico, come la casa del padre, il ritorno, ma non si può giungere sino a cercare un valore simbolico in ogni dettaglio, come nelle carrube che il giovane avrebbe voluto mangiare per saziarsi.
Abbiamo già detto nell'introdurre la sezione del viaggio come oggi si cerchi di leggere le parabole tralasciando eccessi di interpretazione allegorica e di lettura in chiave moralistica, per cercare invece le idee di fondo che l'evangelista vuol trasmetterci. Così in passato si è puntato un po' troppo esclusivamente alla figura del figlio minore che ha sciupato malamente tutte le sue sostanze, e di qui è venuto il titolo della parabola che figura nei nostri testi.

Il padre misericordioso abbraccia il figlio prodigoOggi invece c'è la tendenza a spostare l'accento sulla figura del padre, senza trascurare di mettere anche in giusto risalto quella del figlio maggiore, vista però con una valenza soprattutto negativa. La figura del padre è al centro della parabola, ed è sempre presente: all'inizio col figlio minore, alla fine con quello maggiore, mentre la parte centrale è dedicata proprio al padre che accoglie il figlio ritrovato. Si vorrebbe quindi cambiare anche il titolo, non più il figliol prodigo ma il padre misericordioso. È una parabola contro corrente, che dice il contrario di quello che ci si aspetterebbe, partendo da un episodio che potrebbe benissimo essere un fatto di cronaca, ma che termina in un modo che colpisce e sconvolge l'opinione della gente, non solo quella dei tempi di Gesù, ma di tutti i tempi.


Il tema centrale della gioia

Il tema della conversione e del perdono, qui evidente, è presente nel Vangelo di Luca in misura eccezionale, spesso - come vedremo più oltre - con uno sviluppo che richiama una liturgia penitenziale, ciò che avviene anche in questa parabola. Qui però il tema centrale, predominante, è quello della gioia, anzi della gioia di Dio. Il padre della parabola rappresenta ovviamente Dio stesso, e questo padre - che si comporta così pacatamente con il figlio maggiore come pure, lo si capisce tra le righe, quando il figlio minore lascia la casa - esplode di gioia quando quest'ultimo torna a casa.
Non è la gioia del figlio che torna a casa, ma del padre che ritrova il figlio. È la gioia di Dio, che notiamo nelle due parabole immediatamente precedenti, quando ad essere ritrovati erano rispettivamente una pecora ed una dramma. Vetrata artistica raffigurante Gesù buon pastoreLa gioia di Dio, volta a volta, è raffigurata in quella del pastore, della donna e poi del padre. È questo il tema dominante, che ci coinvolge profondamente.

Dio è gioia e poiché Dio è amore, la sua gioia non vuol tenersela per sé ma comunicarcela, trasmettercela: la sua felicità vuole che sia anche la nostra. Abbiamo una casa verso cui metterci in cammino, un padre che è felice di accoglierci - perché la gioia di Dio è accoglienza -, che vuole accoglierci lui stesso, di persona, per darci ciò che è suo.

Il tema è altresì quello della grazia, anche se Luca non usa qui questo termine, tipicamente paolino: l'iniziativa è sempre di Dio. Se Dio non avesse preso l'iniziativa non ci sarebbe il mondo e non ci sarebbe speranza di salvezza. È Dio che si mette in cammino e raggiunge l'uomo, e solo da questo momento anche l'uomo può intraprendere il cammino verso Dio.


Lo schema

Per giungere alla migliore interpretazione del testo, dobbiamo cercare di dividerlo nei suoi elementi essenziali, e comprendere quale funzione abbia ognuno di essi nel racconto. Qui lo schema è molto semplice: c'è un nucleo centrale che costituisce la parte essenziale, dove viene descritto l'incontro del padre con il figlio minore, preceduto da un prologo, dove viene narrata la storia di questo figlio, e da un epilogo, che ci racconta invece l'episodio relativo al figlio maggiore. La parte centrale, dedicata all'incontro e alla festa, è dunque quella maggiormente studiata, in quanto contiene il tema essenziale della narrazione.

Per capire bene la parabola, è opportuno però non partire dall'inizio, dal prologo, ma dall'epilogo, in quanto la presa di posizione del figlio maggiore fa da contraltare al senso della parabola, va in senso contrario all'insegnamento che Gesù ci vuole trasmettere.


L'epilogo

Si sarebbe tentati di aderire alla presa di posizione del figlio maggiore, così ragionevole dal punto di vista umano. Ad ognuno potrebbe infatti venir naturale una critica al comportamento del padre: ma come, dopo che si è comportato come tu ben sai, l'accogli così a casa tua? Avresti potuto prenderlo a pedate! Ha sciupato tutti i tuoi beni nel peggiore dei modi, e tu gliene dai ancora? Se avessi voluto proprio essere misericordioso, avresti potuto metterlo tra i tuoi servi, farlo partecipe della loro mensa. Ma addirittura dare una festa in suo onore, ammazzare il vitello grasso!

Gesù però non ragiona secondo le categorie dellìintelletto umano, e questo costituisce il nocciolo della questione: Gesù non segue la logica, ma esprime l'amore di Dio che non è ragionevole, non si comporta seguendo il buon senso umano. Paolo ci dirà che c'è della follia in Dio, la follia della Croce, che si può parlare di una stoltezza di Dio, quella del suo amore. Aggiungendo però subito che la stoltezza di Dio è più sapiente di ogni sapienza umana (1Cor 1,25). Per raffigurare in termini umani l'amore di Dio si può in un certo senso parlare di follia, e questa divina follia costituisce la nostra ragione di speranza. Guai se Dio fosse giusto nel senso in cui comunemente usiamo questo termine, se rendesse ad ognuno pan per focaccia.
don Giovanni Berti, Padre nostro
Il figlio maggiore, che rappresenta i farisei con i quali Gesù sta dialogando, non capisce questo modo di comportarsi, si sente trattato ingiustamente: "io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando". Egli non riesce a mettersi nell'ottica di Dio, ma resta in una visione puramente umana. Dio ha un altro metro per misurare, ha il suo amore che non segue i nostri ragionamenti umani ma il suo istinto divino, irresistibile, che lo porta a far festa ogniqualvolta ritrova un figlio perduto.

a cura della redazione
Fonte: incontri con padre Mauro Laconi o.p. all'Arsenale della Pace

vedi il dossier:
In cammino con Luca

 

 
 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok