Riconoscere il Risorto (2/2)

Pubblicato il 20-04-2008

di Giuseppe Pollano

La Pasqua bisogna davvero conquistarsela giorno per giorno. Come fare?

di Giuseppe Pollano

Incredulità di San Tommaso, Monastero di Santo Domingo de Silos, Burgos, Spagna dar credito a Gesù

Nei brani postpasquali dei vangeli sono descritti diversi incontri di Gesù con i discepoli, i quali stentano a riconoscerlo. Come occorre essere per riconoscere il Signore presente nella propria vita? L’apparizione di Gesù ai discepoli riuniti a Gerusalemme (Lc 24,36-39), dopo che i due di Emmaus sono tornati e hanno raccontato il fatto di cui sono stati protagonisti, ci mette sulla strada.

Gesù appare in mezzo a loro e dice: “Pace a voi”. Qual è la reazione di questi uomini? Stupore e spavento, credono di vedere un fantasma. È singolare questa reazione, perché il fantasma è uno che non c’è, è un’illusione, ti spaventa e sicuramente non ti incoraggia. Non si vive di fantasmi! Questi uomini che avevano per anni frequentato e conosciuto Gesù e che ora lo rivedono e lo interpretano come un fantasma, ci dicono che manca in loro la disposizione della fede, non ci credono e l’unica spiegazione che possono dare dinanzi a un Gesù in cui non sanno credere è che è una pura illusione.
Anche questo è un atteggiamento che ci può interessare per crescere nella fede. Quando Gesù ci sembra un personaggio fuori posto, quando ciò che egli ha detto o ha fatto o ci dice ci sembra più un’illusione che una realtà, quando la nostra fede si scandalizza di lui (cfr Mt 11,6), quando Gesù non ci sembra abbastanza vero da convincerci che la sua parola ci consola e ci rallegra, anche se crediamo, alla prova dei fatti - quando dobbiamo dargli tanto credito da cambiare con gioia la nostra vita nella sua vita - Gesù perde consistenza.

Tutti conosciamo questa esperienza, non siamo nati perfetti nella fede, dobbiamo a poco a poco crescere nell’arte di credere. L’arte di credere, in questo caso, è che tu a poco a poco ti eserciti davvero nel dar credito a Gesù quando quello che ti dice, sulle prime, sembra inadatto alla tua vita e preferiresti quasi considerare Gesù un’ombra che se ne va e ti lascia in pace. E questo può accadere quando Gesù ti chiede un perdono e tu stenti a darlo, o una conversione più profonda e tu fatichi a concederla, o ti dice che ti dà la beatitudine e la gioia dopo certe prove e tu non ci credi abbastanza e continui ad essere triste.

Nessuno deve scoraggiarsi semmai si trovasse in queste categorie, ma animarsi e dire: “Signore, non vorrei mai prenderti come un fantasma, come uno a cui non do abbastanza credito. Se l’ho fatto, ti chiedo perdono e voglio ritemprarmi nel credere, non tollero di darti credito qualche volta sì e qualche volta no”. È così che si cammina a poco a poco verso il riconoscimento e verso la gioia propria di chi riconosce il Risorto. I due di Emmaus emergono dall’abisso della loro tristezza e rimangono estasiati e incantati quando allo spezzar del pane intuiscono la presenza del Risorto, vorrebbero forse afferrarlo, ma egli scompare. Ha riacceso la fede, gli basta questo! Dovranno credere senza vederlo, però sono felici.

Attenzione quindi quando la grandezza di Gesù, la sua purezza, la sua grazia sembrano magnifiche ma, allo stesso tempo, poco concrete perché pare di affidarsi a un fantasma. Una motivazione debole impedisce di avere fiducia in lui e quindi dire no al peccato, decisione che appunto richiede concreta fiducia nel Signore.


pregare in modo profondo e serio

Oggi più che mai se non si è lieti di essere cristiani c’è da temere che il nostro cammino di fede non duri più di tanto. Il rimedio sta proprio nel dare a Gesù gli spazi del riconoscimento. Per riconoscere di più il Signore bisogna guardalo meglio per mai più dimenticarsene. Il perentorio richiamo di Giovanni Paolo II di fissare Gesù come antidoto alla distrazione che altrimenti ci rapisce, è un magnifico consiglio. Se la preghiera non diventa un guardare il Signore e un ascoltare la sua Parola con profondità, noi non riusciremo a riconoscerlo a sufficienza. Infatti, se non lo riconosciamo bene nella preghiera, come facciamo poi a riconoscerlo nella vita di tutti i giorni piena di ostacoli e di contraddizioni?
Dobbiamo allora permettere alla Parola di Dio di penetrare nel più profondo della coscienza; di concederle gli spazi più interiori della propria intelligenza, attenzione, riflessione; di lasciare che ci consoli, ma, se è necessario, di acconsentire pure che la spada a due tagli – come Ap 1,16 definisce la Parola –arrivi fino al fondo di noi stessi, perché è un dono di Dio.
Oggi la mancanza di profondità nella preghiera è una specie di malattia generale di cui non ci accorgiamo. Se non c’è questa profondità al momento buono, quando si dovrà riconoscere il Signore nelle circostanze pratiche della vita, allora il dolore o la contentezza estranieranno da lui, allora le faccende, gli affari, le preoccupazioni porteranno via da lui, allora le sue richieste sembreranno eccessive e non gli si darà credito perché non lo si è incontrato nel profondo.

Se maturi la Pasqua anche attraverso questa profondità, allora sì che dà gioia e rallegra, ma è perché sei entrato con la grazia che hai in te, con la fede, con la speranza là dove egli è glorioso, lo hai ascoltato davvero. Il suo Spirito ha potuto convincerti, sei stato adulto – non eccezionale - nella tua fede perché hai trattato la verità di Dio con la serietà con cui tratti le questioni più importanti. Dio è fedele, ha promesso di fare di noi degli adoratori e dei veri credenti, ci dona la grazia per la preghiera profonda; non siamo nell’incerto, ma nella sicurezza che viene da Dio.

Attenzione allora a fare in modo che la preghiera rallegri, allieti, dia pace, dia serenità di cuore; a non accontentarsi di provare qualche volta questa esperienza, ma di aumentarla.


tenere Gesù nel cuore e connettere il cuore a Gesù
G. Abram, Noli me tangere I primi a riconoscere Gesù, come si nota nei brani postpasquali dei vangeli, sono stati coloro che, pur avendo avuto l’eclissi della fede, lo avevano più radicato nel cuore, lo amavano di più. Il discepolo che Gesù amava, quando sono sul lago, mentre gli altri hanno ancora gli occhi chiusi, intuisce: “È il Signore” (Gv 21,7). Non ha avuto una illuminazione esteriore, la memoria del cuore si è ravvivata. Ugualmente Maria di Magdala, nella sua disperazione desolata, quando si sente raggiungere dal suo nome detto con amore da Gesù, si risveglia nell’amore. È tutto cambiato. La Pasqua si celebra riconoscendo Gesù quando, oltre la profondità seria della preghiera, abbiamo l’avvertenza di tenere Gesù nel cuore.
La memoria della mente a poco a poco diminuisce, ma la memoria del cuore è indelebile. L’arte di credere è anche l’arte di credere affettuosamente. È l’affetto profondo, che non se ne era andato, che ha fatto intuire a Giovanni e a Maria di Magdala la presenza dell’amico, dell’amato. Dobbiamo ammettere che se la nostra vita non è fedele, forte nella fede, buona è perché l’amicizia con Gesù non è tale da spingerci in purezza e forza verso di lui. Più si è amici del Signore e più si crede che egli è totalmente amico. Più si sente che si è prediletti e si risponde con la vita, più Gesù diventa indimenticabile.

Attenzione quindi a quando il cuore è in mezzo alle difficoltà: amiamo il Signore, egli non ci abbandona. L’eucaristia vuol dire che sarà con noi fino alla fine dei nostri giorni, e questa è una magnifica promessa.

Gesù sa che il periodo postpasquale, che finirà quando lo vedremo in faccia, presenta delle difficoltà: ci capisce, ci compatisce, ci vuole bene, ci richiama continuamente, ci perdona quando abbiamo voltato la faccia da un’altra parte, non si scandalizza mai di noi, però ci tiene che noi viviamo riconoscendolo e conoscendolo sempre meglio! La Pasqua è sicuramente mistero di gioia, ma nella misura della fede, altrimenti facciamo un discorso bello ma retorico.

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore
Vedi anche:
RICONOSCERE IL RISORTO (1/2)

Vedi il focus:
Mons. Giuseppe Pollano - riflessioni inedite per la Fraternità del Sermig

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