Non è l'abito che fa il cristiano

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

Un anziano viveva nel deserto servendo Dio nella solitudine e nel silenzio. Dopo molti anni chiese a Dio se gli era gradito. L’angelo rispose: “Non sei ancora diventato come l’ortolano che vive in tal villaggio”. L’anziano rimase male: “Che fa costui per superare la mia lotta e la fatica di tutti questi anni?”. Si mise in cammino e arrivò nel luogo che l’angelo gli aveva indicato. L’ortolano stava seduto a vendere ortaggi e lo accolse con gioia. L’anziano gli chiese: “Fammi la carità, dimmi come vivi”. L’ortolano si schermiva e l’anziano dovette insistere. Alla fine rispose: “Niente. Lavoro tutto il giorno, mangio solo la sera. Il superfluo lo do ai poveri e accolgo chi bussa alla mia porta. Al mattino e alla sera prego”. “Bello,” rispose l’anziano, “ma non vedo come tu mi possa superare”.

Mentre stavano per mettersi a mangiare, dalla strada cominciò a venire un grande strepito. L’anziano chiese: “Cos’è?”. L’ortolano rispose: “Questo è un luogo malfamato, dove abita la gente ritenuta peggiore”. “E tu, non sei turbato a sentire queste canzoni sconce?” “No, abbà” “Cosa pensi vivendo qui in mezzo?” “Penso che tutte queste persone entreranno nel regno di Dio a motivo della loro giustizia. Solo io ne resterò escluso a causa dei miei peccati”. L’anziano ammutolì e senza toccare cibo se ne tornò nel deserto.

monacietiopi.jpgForse avrebbe fatto meglio a restare con l’ortolano, e a perfezionare con lui la sua ascesi. Da soli, difficilmente si impara l’umiltà. Per questo Pacomio, consapevole dell’illusione che comportava l’eremitismo, fondò il primo monastero cristiano nell’alto Egitto. Tante case collegate fra loro che presto accolsero 5.000 monaci, e due case di monache. I monasteri, ognuno con un superiore, erano uniti in una federazione e tutti sottomessi al superiore generale. Tutti i monaci si riunivano due volte all’anno, a Pasqua e in estate.

I monaci si levavano al richiamo della tromba, vivevano in silenzio, in silenzio lavoravano cercando di non intralciare il lavoro degli altri, ruminando continuamente le Scritture. Chi mancava, faceva penitenza; nessuno usciva senza permesso; a tavola, si mangiava con la testa coperta dal cappuccio per non guardare nel piatto del vicino; nessuno poteva entrare nella cella di un fratello, né ricevere regali, né conservare in cella nulla che non fosse lo stretto necessario. Anche Basilio, l’altro grande iniziatore di cenobi di poco posteriore a Pacomio, credeva che l’ideale cristiano non può essere raggiunto che attraverso la vita di una autentica fraternità. Ma i monaci per lui non sono per questo cristiani speciali, né la loro vita è un’anomalia; i monaci non sono che cristiani che si sforzano di vivere secondo l’Evangelo, come tutti i cristiani dovrebbero fare anche fuori dal monastero.

Perché infine non esiste un fuori e un dentro il monastero: la Chiesa stessa, cioè la comunità di tutti i cristiani nel mondo, è monastero, è fraternità dove conoscere se stessi nel colloquio continuo con il Signore, dove portare i pesi gli uni degli altri e gustare lo spogliamento dell’umiltà attraverso le umiliazioni che i fratelli quotidianamente ci infliggono. Solo chi lotta per questa umiltà è pietra angolare, e anche oggi Padre della Chiesa.


Flaminia Morandi
NP giugno/luglio 2006

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