La logica sconvolgente di Dio

Pubblicato il 04-04-2014

di Giuseppe Pollano

El Greco, Crocifissionedi Giuseppe Pollano – In una celebre pagina della prima lettera ai Corinzi, Paolo difende Gesù Cristo crocifisso attraverso un ragionamento indirizzato a tre tipi di persone, tre filoni culturali: quello della cultura ebraica a cui lui appartiene, quello della cultura filosofica ellenistica e infine quello della cultura cristiana..

Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1 Corinzi 1,22-25)

Per noi oggi il crocifisso è un’icona, ma allora il senso di orrore era logico perché il crocifisso era anche il simbolo di una estrema bassezza morale. È di un crocifisso così inteso quello di cui Paolo parla riferendosi al Verbo fatto uomo. Ha il coraggio di dire che questa pazzia, che i nostri testi traducono in modo molto più gentile e lieve con stoltezza, è molto più saggia della nostra saggezza e del nostro buon solido senso umano.
Paolo cerca di far capire che, anche quando Dio supera la nostra logica e il nostro buonsenso, dobbiamo seguirlo, perché Dio non agisce da pazzo.
Noi da Dio ci attendiamo tutti qualche cosa. Ma Dio, con la logica sconvolgente, ci aiuta a superare due attese nei suoi riguardi che derivano dal buon senso, dalle nostre logiche umane, ma che in definitiva nascondono pericoli e insidie nel nostro rapporto di fede con Dio.


L'ATTESA DI UN DIO-SICUREZZA

La prima attesa è che – se Dio c’è – deve badare a noi, dunque ci deve dare sicurezza. Questo è sbagliato? No, dacci il pane quotidiano, liberaci dal male sono esplicite richieste di sicurezza, ad esempio. Non è sbagliato aspettarci da Dio, noi creature dell’insicurezza dal mattino alla sera, la sicurezza per vivere; ciò che è sbagliato è ridurre Dio al Dio delle mie sicurezze: si dà in questo caso a Dio una misura un po’ stretta, perché quelle che noi pensiamo siano le nostre sicurezze non è detto che siano le portatrici della nostra felicità. Se fossimo tanto saggi che quello che desideriamo sicuramente fosse il meglio per noi, Dio non farebbe altro che ascoltarci; ma l’esperienza ci dice che non siamo capaci di questo. D’altronde noi stessi con un bambino capriccioso ci comportiamo non concedendo tutto, per poterlo condurre su una disciplina che non è ciò che sceglierebbe.
Dio dà le sicurezze, ma non vuole che lo interpretiamo solo in questo modo. Chiedi e ti sarà dato: quante volte i cristiani ricattano Dio su questa frase! Ma è chiaro che questa frase va interpretata in un contesto di una sapienza grande; anche la mamma può dire al bambino che chieda quello che vuole, ma non ciò che può procurare del male, come indigestione da cioccolato!
Quando ci troviamo di fronte a cristiani in crisi di fede per un dolore, per una delusione o qualsiasi altra cosa che scoraggia, è perché una richiesta di aiuto a Dio non ha avuto la risposta che si attendevano. La ribellione è un meccanismo molto facile, è una tentazione che prende tutti. Anche solo una fede piccola ci fa però capire che se Dio non ha ascoltata la mia invocazione riguardo a una cosa specifica, l’ha però utilizzata per un’altra cosa. La preghiera non è mai inutile. Con Dio non si pronuncia neanche una sillaba che sia inutile, ma lui la utilizza per un altro bene. Bisogna avere fiducia, dare tempo e vedere come vanno le cose. Ciò non toglie che questa crisi sia frequente. Qualcuno ha detto che il dolore è la rocca dell’ateismo. È proprio vero, perché non è l’intelligenza che rende atei, è il dolore, è la rivolta che c’è in noi. Ebbene Dio non è il Dio delle nostre sicurezze pure e semplici. Fidiamoci di lui: la sua logica è più bella e più grande della nostra.


L'ATTESA DI UN DIO CHE CI ASSECONDI

Più insidioso ancora è aspettarsi che Dio approvi sempre il nostro modo di vedere la vita, la nostra filosofia, il nostro pensiero, dimenticando che il pensiero di Dio, come dice la Bibbia, è alto sul nostro. Se si è saggi dobbiamo cercare di pensare come pensa Dio. Molte volte la fede, senza essere pagana, è sostenuta da un cristianesimo annacquato, alleato con il mio pensiero sulla vita, la mia logica, il mio modo di capire il mio destino e immaginare il mio futuro; in questo caso, quando Dio interviene con un avvenimento che mostra un’altra logica, per esempio quella della croce, noi possiamo scandalizzarci.
I cristiani spesso si esaminano sui loro peccati, ma non è così facile che si esaminino sulla loro mentalità. La mentalità di un cristiano può anche non essere cristiana. Noi vediamo i peccati e cogliamo la trasgressione, ma non basta, dobbiamo capire cosa ci sta dietro ai peccati: una situazione della vita difficile, una frustrazione, un affetto deluso, la solitudine creano uno stato d’animo che induce sovente alla compensazione, all’evasione, e quindi ci concediamo facilmente al peccato. Perché? Non perché si è stati tentati. Qual è la mentalità per cui si reagisce ad una situazione di sofferenza con queste continue compensazioni? Non sarà perché la propria mentalità non è consona al senso della pazienza, della croce di Cristo? In realtà, sotto sotto, si pretende dalla vita una gioia; questo è istintivo, ma non bisogna bloccarsi, altrimenti, se la vita non dà quella gioia, la si cerca e la si prende, e allora si chiama gioia la trasgressione. Chiaramente non si sta ragionando con Cristo, si guarda la croce ma essa non ci dice niente.
La preghiera ci aiuta molto a verificare questa mentalità: quando si guarda la croce dobbiamo lasciare che ci dica qualche cosa. Sulle prime non dirà niente, ma questo non deve spaventarci, perché siamo distratti e ci vuole un po’ di sedimentazione e di calma. Lasciamo che questo libro aperto ci dica qualche cosa, è lì che si forma il nostro pensiero secondo Cristo.
Lo stesso avviene naturalmente anche per altre situazioni; pensiamo, ad esempio nell’ambiente del Sermig, alla questione degli altri che sono poveri: la mia mentalità può essere molto distante dalla mentalità di Dio anche se compio qualche volta il buon gesto di un’opera buona e Dio non approva il nostro modo di pensare se ci stacchiamo da lui, se non abbiamo fiducia nelle cose che ci dice.


LA CROCE CHE NON RIPUGNA

Noi apparteniamo ad una società che si è costruita una vita facile, la parola croce viene usata come sinonimo di dolore, sofferenza; però trovare in questo una ragione per dimenticare la follia del crocifisso non è segno di lealtà e di gratitudine a Dio, anche perché se la nostra società ha raggiunto tante conquiste è perché Dio ci ha donato intelligenza e intraprendenza. La croce intesa in senso negativo giustamente ci ripugna, perché nessuno si appassiona al dolore, neanche Dio, perché il dolore non è una condizione permanente della vita, ma provvisoria.
Il senso della crocifissione riguarda la restaurazione di un ordine più profondo. Paolo ci ricorda che le nostre passioni, quelle che soddisfano e distruggono insieme, bisogna crocifiggerle perché è un’illusione pensare che se ne vadano da sole. Anzi, pensiamo anche solo all'amor proprio, possono diventare un tormento divorante: il bisogno di parlare di sé, di approvazione e di stima, un egocentrismo tale che non ci si accorge neanche più degli altri.
Viceversa quando si è fatto un sacrificio folle, cioè gratuito, non chiesto da alcuno, perdendoci, si è però potuto assaporare che è bello fare così, perché così ha fatto Dio. Agire a fondo perduto sarebbe un errore nell'economia, nell'amore no!

Giuseppe Pollano
tratto da un incontro all’Arsenale della Pace
testo non rivisto dall'autore

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