Il vangelo di Marco (6/21)

Pubblicato il 27-09-2012

di p. Mauro Laconi

di p. Mauro Laconi, op - Mc 2-3,6: Dio agisce nella nostra vita: accogliamolo! (1/2).

1) struttura

Il cap. 2 costituisce, unitamente ai primi 6 versetti del cap. 3, una sezione omogenea, che deve essere esaminata nel suo insieme. Marco l’ha costruita con attenzione, e l’ha scritta con molta vivacità pittorica, come in un racconto.
Ci troviamo di fronte a cinque episodi della vita di Gesù, in ciascuno dei quali egli si scontra con qualcuno o, meglio, viene criticato dagli scribi e dai farisei in quanto compie dei gesti che a loro paiono sbagliati. Questa critica, espressa a viva voce oppure silenziosa, dà luogo per cinque volte ad una risposta da parte di Gesù che ci fa capire il motivo del suo comportamento.

Cerezo Barredo, Il paraliticoQuesti cinque episodi, oltre ad essere uniti da un unico tema conduttore, sono inoltre legati tra loro in più modi. I primi due si richiamano perché in uno Gesù rimette i peccati ad un peccatore, nell’altro chiama un peccatore alla sua sequela. Gli ultimi due si richiamano per il tema del sabato: in uno i discepoli di Gesù violano il sabato raccogliendo e mangiando delle spighe di grano, nell’altro è Gesù stesso che viola il sabato guarendo un malato.
Allo stesso modo, anche il primo e l’ultimo episodio si richiamano perché in entrambi vi è una guarigione e una protesta silenziosa (il paralitico e l’uomo con la mano inaridita) e così il secondo e il quarto (Gesù a mensa con i peccatori, i discepoli che mangiano spighe dei campi).
Il terzo episodio invece, dove Gesù si presenta come lo sposo, rimane sempre isolato, e tutto il resto quasi rotea attorno a questa affermazione.


2) primo episodio

Che Marco non abbia tralasciato nulla per mettere in risalto la vivacità di queste prime scene, lo si nota sin dall’inizio, dal primo episodio, che egli solo narra con tanta ricchezza di particolari.
Vi sono quattro persone, parenti o amici, che portano un paralitico da Gesù per farlo guarire. Gesù parlava alla gente sulla porta di una casa, presto circondata da una massa di persone. I quattro che portano il malato vedono la gente e si rendono conto che non possono arrivare sino a Gesù ma, lungi dal perdersi d’animo, non essendovi un’altra entrata, salgono sul tetto. Non dobbiamo pensare a strane acrobazie: sul tetto si saliva usualmente per una scala esterna in pietra, che permetteva un accesso comodo per le frequenti manutenzioni necessarie.
Giunti sul tetto cosa fanno? Il testo greco dice che “scavarono”. Il tetto era infatti usualmente costituito da strati di terra battuta, sostenuti da strati di canniccio intrecciato, con due travi che reggevano il tutto.

Il racconto di Marco ci fa pensare che Gesù, pur continuando a parlare alla folla, si renda conto di quanto sta capitando e lo segua con attenzione, non trovandosi impreparato di fronte al chiasso dei quattro che scavavano sul tetto, al presumibile crollo e al polverone causato dal foro. Anzi, vedendo tutta la loro fede, con atteggiamento paterno (è raro l’uso della parola “figliolo”) lo guarisce. Matteo non si sofferma su questi dettagli, e semplifica la scena. Luca poi, non conoscendo le abitudini della Palestina, parla di tegole.

Ma vediamo cosa ha fatto Gesù di “sbagliato”: prima di guarire il paralitico, gli rimette i peccati. Nessuno può rimettere i peccati, solo Dio lo può fare. Ecco allora la protesta dei farisei e l’accusa di bestemmia, ed ecco la risposta di Gesù, che consiste nella guarigione del paralitico, come per far capire loro chi egli sia, e come possa rimettere i peccati.


Caravaggio, La vocazione di San Matteo3) secondo episodio

Il secondo episodio è comunemente designato come la chiamata di Levi. Nel passare, Gesù vede Levi (in Marco è molto importante lo sguardo di Gesù) che sta compiendo un lavoro molto banale: conta i soldi. Levi era un pubblicano, cioè raccoglieva le imposte per Roma: era considerato un peccatore e disprezzato dal popolo. Gesù lo chiama, ed il fatto è così inverosimile, che il primo a stupirsene deve essere stato proprio lui, Levi. Così lo dipinge il Caravaggio, seduto al suo tavolo con le monete davanti, che si indica con la mano come per dire: “Ma? Ma chiami proprio me?”. Sì, chiama proprio lui, il personaggio meno ovvio, più impreparato di questo mondo. E Levi, alzatosi, lo seguì.

Nel testo seguente, che ci mostra Gesù a tavola con i pubblicani, i peccatori ed i discepoli, la traduzione corrente colloca la scena nella casa di Levi (“di lui”), ma il testo greco parla di “casa sua”, attribuita a Gesù. È chiaro cosa pare sbagliato agli scribi e ai farisei nel comportamento di Gesù: prima chiama tra i tuoi discepoli un pubblicano, cioè un peccatore, un personaggio esecrato e disprezzato, che raccoglieva le imposte per gli occupanti, gli idolatri di Roma, poi mangia in compagnia dei peccatori.
Ecco allora la protesta, ed ecco la risposta di Gesù, che afferma “non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”. È da ricordare che nel vangelo di Matteo, il pubblicano è chiamato non Levi ma Matteo, forse per un ricordo autobiografico, e la tradizione propone di identificare Matteo in Levi. Quanto poi al pasto successivo alla chiamata, Matteo ha semplificato le cose: “mentre Gesù sedeva a mensa in casa”; invece Luca dice: “Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa”, riferendosi forse ad un ricordo diverso.


4) quarto episodio

È una scena molto semplice, reale: Gesù cammina tra i campi di grano, e i suoi discepoli strappano delle spighe. Matteo è molto più preciso e circostanziato e spiega che avevano fame, e le mangiavano.
I discepoli infrangono la Legge, perché strappare le spighe significa mietere e, anche se si tratta solo di tre spighe, di sabato non si può mietere. Se poi sfregano le spighe tra le mani per liberarne i chicchi, essi trebbiano, e di sabato non si può trebbiare. I farisei quindi rimproverano Gesù, e la risposta è “il Figlio dell’uomo (cioè Gesù stesso), è padrone anche del sabato”.
Il sabato era l’elemento centrale della Legge giudaica, la cosa più importante. Solo gli ebrei avevano il tempo diviso in sette giorni: sei per lavorare e uno per onorare Dio. Il sabato era il giorno del Signore, e quindi proclamarsi signore del sabato equivaleva a dichiarare la propria divinità.


James Tissot, Guarigione dell'uomo dalla mano secca5) quinto episodio

Gesù guarisce un malato, nella sinagoga, di sabato. Si tratta di un uomo con una mano inaridita, noi diremmo oggi con un braccio rattrappito. Secondo un’antica tradizione, si tratterebbe di un muratore che per un incidente aveva perso l’uso del braccio, e quindi non poteva più mantenere la sua famiglia.
È da notare come tutta questa scena è composta di silenzio. Gesù entra nella sinagoga, e nel grande silenzio la gente stava a vedere, attenti al fatto che è un giorno di sabato e che c’è un uomo malato: sanno che quando c’è un malato Gesù non sa resistere.
Gesù sente quest’atmosfera, e prende lui l’iniziativa. Fa mettere il malato in centro e fa una domanda, chiede se può fare del bene, ma nessuno risponde. A quel silenzio della gente (non vi sono solo farisei, c’è della gente), Gesù risponde con un altro silenzio, e guardandoli tutt’intorno con indignazione (il testo greco dice “con ira”), rattristato per la durezza del loro cuore (ira e tristezza), disse a quell’uomo di stendere la mano: la stese e fu guarito. E i farisei con gli erodiani tennero consiglio per condannarlo a morte.

Questo episodio è un piccolo capolavoro di Marco: è difficile creare un episodio con i silenzi, con tutti questi silenzi che s’incrociano. Matteo toglie i silenzi, toglie lo sguardo circolare, l’ira e la tristezza. Luca lascia lo sguardo ma toglie le emozioni.
In Marco la protesta per il comportamento di Gesù è silenziosa, e la risposta di Gesù è l’amarezza. Marco riesce a farci sentire la vivacità dei personaggi, a dirci che Gesù è vivo, è qui, nella mia vita, nel mondo di oggi, bussa alla mia porta, vorrebbe che io andassi a casa sua, si guarda in giro contento di vedere la fede nella gente, eppure è rattristato, amareggiato per la durezza dei cuori.

Il rumore non dà fastidio a Gesù, ciò che lo disturba è questo silenzio freddo, gelido, che lo avvolge, che sembra quasi volerlo imprigionare, dirgli: se sei venuto nel nostro mondo, comportati educatamente, seguendo le regole e il codice riconosciuti; non infrangere le regole, resta nella legalità. Gesù invece, per amore, le infrange. Interrompe il culto e, in un altro episodio, ci inviterà a interrompere il culto quando parlerà dell’amore che un uomo dovrebbe avere verso gli altri uomini, in cui dovrebbe riconoscere dei fratelli: se sei nel tempio e stai facendo la tua offerta e all’improvviso ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, non continuare il rito del culto. Se c’è un atto di amore da compiere, esci dal tempio, corri verso il tuo fratello.


6) terzo episodio

Nella terza scena nuovamente Gesù scandalizza chi gli domanda ragione del fatto che i suoi discepoli non digiunano mentre lo fanno i discepoli di Giovanni e dei farisei. Eppure digiunare era un gesto religioso. Gesù parla degli invitati a nozze: hanno lo sposo con loro, devono far festa, non possono digiunare e li paragona ai suoi discepoli. Hanno lo sposo con loro: ma nel linguaggio biblico “lo sposo” in assoluto è un termine che indica Dio, Dio è lo sposo del popolo eletto, del popolo d’Israele. E definirsi lo sposo, vuol proprio dire nuovamente definirsi Dio.
La prima volta afferma la sua divinità dichiarando di avere il potere di rimettere i peccati, la seconda definendosi lo sposo, la terza proclamandosi signore del sabato, e quindi della Legge giudaica.



Fonte: da Progetto 1991

 

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