Il vangelo di Marco (4/21)

Pubblicato il 27-09-2012

di p. Mauro Laconi

di p. Mauro Laconi, op - Mc 1,14–45: parola autorevole ed efficacie (1/2).

Salvator mundi, Gian Lorenzo Bernini1) struttura

Si possono individuare due sezioni distinte: il passo che comprende i versetti dal 14 al 39, e quello dal versetto dal 40 al 45. Il primo passo, che è introdotto e concluso dall’annuncio della predicazione di Gesù, è un racconto concluso in sé, formato da cinque scenette apparentemente slegate fra loro, che costituiscono una specie di mini–biografia di Gesù. Il secondo passo narra il miracolo della guarigione di un lebbroso.
Nell’affrontare questo brano, ci porremo la solita domanda: perché Marco ha raccolto in una unità questi episodi della vita di Gesù? Cosa intendeva dirci?
Abbiamo già visto come Marco, per comporre il suo vangelo, si serva anche di una raccolta preesistente di racconti sulla vita di Gesù, ne faccia una selezione, e disponga i racconti da lui scelti in sezioni generalmente omogenee. Questo suo modo di narrare non è fine a se stesso, ma vuole farci pervenire un messaggio, farci capire qualche cosa che diventerà sempre più chiaro man mano che procederemo nella lettura del suo vangelo.


2) biografia di Gesù

Abbiamo già visto come i versetti 14–39 costituiscano un sunto dell’attività messianica di Gesù in Galilea, una sorta di minibiografia costituita dal racconto degli episodi salienti di una giornata tipo (non quindi di una giornata in senso strettamente cronologico) di Gesù.
Nei precedenti versetti del cap. 1 Gesù si era recato in Giudea, aveva ricevuto il battesimo ed era stato tentato nel deserto. Ora Gesù ritorna in Galilea, per esercitarvi la sua attività di predicatore del vangelo, e resterà in questa regione fin quasi alla fine, passando di villaggio in villaggio, muovendosi lungo il lago, attraversandolo, andando su per le colline, dovunque attorniato dalla gente.

James Tissot, Gesù nella sinagogaMarco qui, ed è l’unica volta nel suo vangelo, si abbandona a un po’ di biografia, e ci racconta ciò che faceva Gesù in questo suo peregrinare: predicava, entrava nelle sinagoghe, aveva attorno a sé dei gruppi di discepoli che invitava ad uno ad uno a seguirlo, s’incontrava con la gente, faceva dei miracoli, cacciava i demoni, guariva i malati.
Esaminiamo ora con ordine le azioni che compie in questo brano: chiama a seguirlo un gruppo di quattro discepoli: Simeone e Andrea, Giacomo e Giovanni; entra nella sinagoga e insegna; compie esorcismi, ossia caccia i demoni dal corpo degli indemoniati; guarisce dei malati, ad iniziare dalla suocera di Pietro; prega, dopo essersi ritirato in solitudine.
Sono i cinque gesti dell’attività messianica di Gesù, compiuti mediante la sua parola, parola che costituisce quindi il tema centrale che dà unità ai diversi episodi, e sulla quale occorre soffermarsi a riflettere.


3) la parola

Vi è la parola dell’annuncio: Gesù gira per la Galilea annunciando il regno di Dio, come un banditore.
Vi è la parola che chiama: ecco Gesù sulla riva del lago, ed i primi quattro discepoli.
Vi è la parola che insegna: Gesù entra nella sinagoga e si mette a insegnare (sul tema dell’insegnamento vi è una certa insistenza).
Vi è la parola che vince satana: Gesù libera l’indemoniato con un semplice comando.
Vi è la parola che guarisce i malati.
Ecco dunque cinque differenti parole, o, per meglio dire, cinque differenti effetti sortiti dalla parola di Gesù.
Vi è poi una sesta parola. Gesù al mattino presto, quando ancora era buio, uscì e si recò in un luogo deserto a pregare. Per noi quest’ultima scena rappresenta un momento di silenzio, ma il costume degli antichi era di pregare, anche in solitudine, ad alta voce, come vedremo poi Gesù fare nel Getsemani. Quindi abbiamo qui la parola che prega.

È da notare come Marco sottolinei bene, quasi in ogni episodio, come la parola di Gesù non sia paragonabile a quella di ogni altro uomo: è una parola piena di autorità e di efficacia. Lo vediamo già nel primo episodio, quello della chiamata delle due coppie di fratelli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni. Qui la parola è sottolineata dallo sguardo di Gesù: egli li guardò, mentre stavano gettando le reti nel lago i primi, mentre stavano riassettando le reti dopo la pesca i secondi. Li chiamò. E immediatamente questa parola venne ubbidita, senza esitazioni e compromessi. La prima coppia di fratelli abbandona le reti sulla barca, la seconda lascia sulla barca addirittura il padre, Zebedeo, con i garzoni.
Così pure avviene nella sinagoga, quando per la prima volta scaccia satana da un indemoniato: “Taci! Esci da quell’uomo”, e lo spirito, gridando forte, uscì da lui. Allora come oggi, vi erano gli esorcisti, che cacciavano i demoni appellandosi ad una autorità superiore, cioè a Dio.

Gesù libera l'indemoniato a Cafarnao, miniatura, sec. XV, Lione, Biblioteca ComunaleGesù non si appella a nessuna autorità ma dà tranquillamente ordine a satana di andarsene, e questi se ne va. A noi questa scena pare ovvia, perché associamo strettamente la figura di Gesù uomo, anche agli inizi del vangelo, alla sua divinità. Ma per chi vi assistette nella sinagoga di Cafarnao, e che non sapeva chi Gesù fosse, fu un’esperienza nuova e forte, la cui intensità venne accresciuta dallo stupore per come impartiva il suo insegnamento: insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Gli scribi infatti commentavano le scritture, senza aggiungervi nulla di originale, mentre Gesù non si limita al commento di un testo, ma parla perché ha qualcosa di nuovo da dire, e propone di accettare questo suo insegnamento non perché egli si appella a qualcuno, ma per la sua stessa autorità.
È interessante osservare come il vocabolo greco qui usato per la parola autorità venga spesso nella Bibbia riferito al potere di Dio.

Osservando i risultati ottenuti, vediamo che la parola di Gesù non è solo una parola che dice, sia pure con autorità, ma è ben di più: è una parola che agisce, una parola che fa. E quanto fa la sua parola in questo brano possiamo riferirlo oggi a ciascuno di noi: anche se è una immagine sgradevole, possiamo metterci nei panni dell’indemoniato, ricordandoci che Gesù è venuto per liberarci, e che chi non ha bisogno di liberazione può fare a meno di Gesù. Proviamo ancora a metterci nei panni dei malati guariti, di quanti ascoltavano l’insegnamento nella sinagoga o nei villaggi. Mettiamoci nei panni dei primi quattro discepoli: anche se in modo diverso, Gesù chiama anche noi, ciascuno di noi.


Fonte: da Progetto 1991

 

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