Riconoscenza

Pubblicato il 10-08-2012

di Rosanna Tabasso

Bisogna riconoscere ciò che ci arricchisce e ringraziare per ogni cosa.

 

Siamo ciò che mangiamo, siamo ciò che vestiamo, ciò che impariamo, siamo le esperienze che facciamo, le persone che incontriamo, ma non solo. Siamo soprattutto ciò di cui ringraziamo. Perché quando si ringrazia per qualcosa o per qualcuno, si è consapevoli di aver ricevuto e dunque di esserci arricchiti, si percepisce che quanto si è vissuto diventa parte di noi, piccole e grandi cose. Il vuoto di senso che spesso avvertiamo alla fine di una giornata – a cosa serve quello che ho fatto, non ho concluso nulla, i problemi sono sempre gli stessi – nasce dalla disabitudine a ringraziare. Di fatto durante tutta la giornata e anche di notte – per esempio quando non prendiamo sonno – la prima parola che dovrebbe affiorare alla mente o alle labbra è GRAZIE: grazie che Dio mi ama e che io lo amo, grazie delle persone che ho vicino, grazie che sono stato aiutato e ho potuto aiutare, grazie che ho capito una cosa nuova, grazie che ho incontrato una persona, grazie che sono stato perdonato, grazie che ho perdonato, grazie che ho ricevuto e grazie che ho potuto restituire. Invece di riempire i momenti vuoti di interminabili rosari di grazie, noi lasciamo che il vuoto si riempia di suggestioni esterne e ci lasciamo invadere da messaggi televisivi, da slogan pubblicitari, da jingle che ci entrano nella testa e ci ricordano la macchina ultimo modello, l’abito di nuova fattura, il cellulare appena uscito sul mercato... e fin dal mattino invece di ripetere “grazie” canticchiamo l’ultima canzone entrata in classifica. Cose da possedere, passatempi per non pensare, vuoti da riempire, non vita vissuta.

La memoria è fatta per essere riempita: se non la riempiamo noi, si riempie da sola, se non la educhiamo noi, ci educa lei, rischiando di renderci superficiali, vuoti e scontenti. Non è più la coscienza a tessere la nostra vita su trame robuste, non è più la mentalità del Vangelo a permeare la nostra memoria. Tornare a riempirci di riconoscenza, è entrare nella mentalità evangelica, nella mentalità eucaristica del rendere grazie, del benedire, cioè farsi tramite della benedizione di Dio. In questi giorni un’amica che vive in mezzo a gravi problemi mi diceva: “Sai, non vedo la fine dei problemi eppure dentro sono serena, sono contenta e quasi me ne vergogno. Mi dico che non sono normale, che sono un’incosciente”. No – dico io – sei semplicemente entrata nella scia dei piccoli e dei poveri della Scrittura, quelli che in ogni cosa rendono grazie perché sanno che Dio non li abbandona mai, benedicono Dio per ogni cosa perché hanno fiducia solo in lui. Vivendo così sei abitata dalla gioia, sei serena come bimbo svezzato in braccio a sua madre. Nel rendere grazie per tutto e per tutti l’ottica cambia e dove c’era tristezza ora c’è gioia, dove c’era disperazione ora c’è speranza, dove c’era fatica ora c’è leggerezza. Mi viene in mente la scena finale del film Uomini di Dio. I monaci di Tibhirine aspettano la loro fine riuniti tutti insieme, a tavola. Stappano una buona bottiglia di vino, si vestono a festa: l’aver imparato a rendere grazie a Dio in ogni cosa fa della loro fine il loro inizio. Anche Gesù prima di offrirsi raduna i suoi per la cena pasquale, rende grazie per il pane e per il vino, prima di farsi lui stesso pane e vino del sacrificio. Il dono estremo di sé diventa un grazie a Dio che è vita sempre, anche nella sofferenza e nella morte.

dalla rubrica di NP 2011 LA REGOLA DEL SERMIG

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