Felicità comunicanti

Pubblicato il 30-05-2019

di Pierluigi Conzo

di Pierluigi Conzo - I migranti e la responsabilità di chi accoglie.
I migranti sono più o meno felici dei nativi? Da cosa è influenzata principalmente la loro felicità? Il World Happiness Report del 2018 prova a dare una risposta a queste domande comparando i dati sulla felicità dei migranti e dei nativi tra diversi Paesi nel mondo.

Lo studio si apre con la consueta classifica dei Paesi più o meno felici, sulla base di un campione di mille persone all’anno intervistate dal 2015 al 2017, includendo nativi o immigrati, per un totale di 156 Paesi. Il focus del report, tuttavia, è sui migranti, di cui si analizza e compara la valutazione di vita in 117 Paesi con più di 100 rispondenti nati all’estero tra il 2005 e il 2017. Quest’ultima categoria include lavoratori ospiti di breve periodo (e.g. stagionali), immigrati da più tempo e migranti che cambiano residenza più spesso, in differenti stadi della loro carriera e della loro vita. Per quanto riguarda la misura della felicità, nel report si ricorre alla valutazione di vita auto-dichiarata, chiedendo cioè ai rispondenti di valutare la loro vita di oggi su una scala da 0 (peggior vita possibile) a 10 (miglior vita possibile).

Tre sono i risultati principali che emergono dall’analisi dei dati. Innanzitutto, sembra che in media gli immigrati siano felici quanto i nativi. Per i 117 Paesi con più di 100 rispondenti nati all’estero, c’è una correlazione molto alta tra valutazione di vita media degli immigrati e quella dei nativi. Per esempio, i Paesi in cui i rispondenti, in- dipendentemente dalla nazione di nascita, si dichiarano più soddisfatti della propria vita, sono anche quei Paesi dove i migranti sono in media più felici. Nel- la “top-ten” troviamo i Paesi nord europei, insieme ad Australia, Nuova Zelanda e Canada; mentre nelle ultime dieci posizioni figurano Siria, Togo, Ruanda e Costa d’Avorio.

Il secondo risultato è che nei Paesi più felici gli immigrati sono meno felici dei nativi, mentre accade il contrario nei Paesi meno felici, dove gli immigrati sembrano essere in media più felici dei nativi. Questo fenomeno può dipende- re da due fattori. Chi emigra e può scegliere dove andare, in genere, preferisce Paesi con livelli di benessere più elevati. Paesi, quindi, più felici avranno anche maggior numero di immigrati dei Paesi meno felici. Inoltre, anche il gruppo di confronto è importante: si guarda indietro o si guarda avanti? Si guarda da entrambi i lati: la felicità dei migranti sembra dipendere non solo dal livello di felicità dei nativi ma anche – seppur con meno intensità – dalla felicità media nel Paese d’origine.

Questo contribuisce a spiegare perché chi si reca verso un Paese più felice finisce con essere meno felice dei nativi, e viceversa per chi si reca verso un Paese meno felice. Il risultato a mio avviso più rilevante è il terzo: la felicità dei migranti dipende in gran parte da quanto “accoglienti” sono i nativi. Per misurare quest’attitudine è stato chiesto, tra il 2016 ed il 2017, ai nativi dei Paesi considerati finora se i seguenti scenari sono “buoni” o “brutti”: avere immigrati nel Paese; avere immigrati come vicini di casa; avere un parente che sposa un immigrato/a.

La maggior parte dei Paesi classificati come “meno accoglienti” si trova nell’est e sud-est Europa, mentre i Paesi “più accoglienti” risultano essere l’Islanda e la Nuova Zelanda, seguiti da altri Paesi in Oceania, Europa occidentale, Africa sub-sahariana e Nord America. Ad ogni modo, gli immigrati nei Paesi meno accoglienti valutano la propria vita meno positivamente di quelli nei Paesi più accoglienti, indipendentemente da quanto tempo vi risiedono. Nonostante i possibili limiti metodologici di queste analisi, come ad esempio la non perfetta rappresentatività dell’intero universo dei migranti (sono esclusi i rifugiati), questi dati offrono un utile punto di partenza per spostare l’attenzione dalla nostra felicità a quella dei migranti.

Pierluigi Conzo
ECOFELICITÀ
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

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