In memoria di George

Pubblicato il 25-12-2018

di Matteo Spicuglia

di Matteo Spicuglia - Aveva 14 anni, era nero. Morì da innocente sulla sedia elettrica.
George piangeva. «Giusto così!», dicevano i presenti. «Ci avesse pensato prima!». Ma George non piangeva per il rimorso. Più per la paura, più per il senso di ingiustizia subito, marchiato dentro e fuori. Perché George era piccolo, aveva 14 anni e non c’entrava nulla con le accuse, né con quella sedia elettrica su cui nemmeno riusciva a stare. Ma George Stinney jr era nero e quel 16 giugno del 1944 per tanti non si trovava altro che nel posto giusto. Ritenuto colpevole dell’omicidio di due bambine bianche: Betty di 11 anni e Mary di 7. I loro corpi furono trovati vicino alla casa di George, ad Alcolu, una piccola cittadina statunitense della Carolina del Sud.

George fu arrestato subito. Senza prove. Alcuni testimoni lo avevano visto parlare con le vittime poco prima dell’omicidio. Nient’altro. Poi, altri tre agenti si erano inventati una presunta confessione del ragazzo. Mai avvenuta. Quanto bastava per chiudere il caso. Il processo fu una farsa, durò appena due ore e mezza, con una giuria popolare formata solo da uomini bianchi, con un avvocato difensore che non fece obiezioni e un giudice che decise le sorti di un quattordicenne in appena 10 minuti. Sentenza senza appello: George meritava la sedia elettrica. Non ci furono margini di appello, la giovane età non fu considerata, i genitori di George non furono autorizzati nemmeno a partecipare alle udienze o a visitare il figlio. George in 81 giorni di detenzione non li vide più.

La sera di quel 16 giugno entrò nella camera di esecuzione con la Bibbia sotto braccio. Fu usata per far sedere George, perché era piccolo di statura, pesava appena 40 chili e da solo non arrivava ai braccioli della sedia. I testimoni ricordano che fu difficile anche il fissaggio al telaio degli elettrodi. Troppo grandi per un bambino. Così le dimensioni della maschera facciale, sproporzionate per un viso adolescenziale. George piangeva, ma il copione era già scritto. Una scarica, un’altra, una vita che si spegne tra sofferenze indicibili. Sarebbe diventato il più giovane condannato a morte alla sedia elettrica.

La battaglia della famiglia iniziò subito e durò per decenni. Solo nel 2013, il caso fu riaperto e nel gennaio del 2014, la giudice Carmen Mullen ascoltò finalmente la testimonianza dei famigliari, in particolare di Amie, ormai 78enne, che scagionò il fratello. Al momento dell’omicidio, raccontò, erano insieme a vedere le mucche pascolare vicino alla ferrovia. Poi lo storico George Frierson, che da ricerche accurate scoprì la verità. Il responsabile della strage proveniva con tutta probabilità da una famiglia bianca del posto molto influente. Capace di coprire ogni responsabilità, a tal punto che alcuni famigliari fecero parte proprio della giuria che condannò George. Il negretto, come fu chiamato dalla cronache dell’epoca, fu ridotto così a capro espiatorio, in una società che faceva ancora del colore della pelle un marchio di infamia.

Il 17 dicembre 2014, però, la svolta: la giudice Mullen annullò la condanna di George, riconoscendo che non fu difeso in modo efficace, in violazione dei diritti stabiliti dal VI emendamento. La sua confessione, ammise il magistrato, fu probabilmente estorta e in quanto tale era inammissibile. E la stessa esecuzione di un quattordicenne fu «una punizione crudele e inusuale». George fu scagionato così dopo 70 anni, diventando senza saperlo un simbolo. «Ricorderò per sempre quel giorno in cui hanno portato via mio fratello da casa», ha detto la sorella dopo la sentenza. «Non ho mai più visto mia madre ridere». Ingiustizia di ieri, un insegnamento per oggi.

Matteo Spicuglia
COSE CHE CAPITANO
Rubrica di NUOVO PROGETTO

 

 

 

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