Giovani e futuro

Pubblicato il 25-09-2018

di Sara Alfieri

di Sara Alfieri - “Il futuro cambia segno?” questa è la domanda che si ponevano ormai più di una decina di anni fa Miguel Benasayag e Gérard Schmit nel loro celebre libro L’epoca delle passioni tristi. Con questa domanda gli autori ci avvertivano, con una certa lungimiranza, di quanto i giovani iniziavano a percepire il futuro non più in termini di desideri e speranze, ma come una minaccia soffocante.

La società moderna ci getta nel paradosso di un continuo progresso che tuttavia risulta imprevedibile, alimentando così tristezza e pessimismo. Rispetto alle generazioni passate, oggi i giovani possono andare molto più lontano, ma il rischio di sbagliare strada è più vicino. Gli autori ci avevano ammonito: la configurazione del futuro dipende in buona parte da ciò che sapremo fare nel presente. E a che punto è il presente di oggi?

Vediamo i risultati del Rapporto Giovani promosso dall’istituto Toniolo, composto da un campione rappresentativo a livello nazionale di più di 9000 giovani tra 18 e 29 anni. In particolare ci soffermiamo su quelli che numerosi autori hanno individuato come “i compiti evolutivi” del giovane adulto. Nonostante alcune differenze legate al contesto o all’età di sviluppo di una teoria, tutti convergono su tre aspetti: l’autonomia dalla famiglia di origine; la costituzione di una famiglia elettiva; l’acquisizione di un’attività lavorativa.

Per quanto concerne il primo aspetto, circa il 70% dei giovani risiede con almeno uno dei propri genitori; il 4% abita da solo, l’11% con il proprio partner. Certo, la coabitazione con la propria famiglia di origine non è sinonimo di autonomia da essa, ma ne costituisce un indicatore. Tra coloro i quali sono impegnati in una relazione stabile ma non convivono, il 53% dichiara di volerlo fare nei prossimi tre anni, ma solo il 33% lo farà entro un anno.

Rispetto al secondo indicatore, la costituzione di una famiglia elettiva, i risultati sono speculari al primo punto: tra coloro i quali non hanno ancora un figlio (ovvero, il 95,5% dell’intero campione) l’85% prevede di darne alla luce uno entro i prossimi tre anni, ma solo il 25% di essi crede di poterlo fare entro un anno. Se non avessero costrizioni o impedimenti, i giovani italiani desidererebbero avere 2 (46%) o 3 (31%) figli; ma se gli si chiede realisticamente quanti pensano di averne, il numero decrementa drasticamente: la maggior parte pensa di poterne avere 2 (55%) o 1 (19%), mentre chi pensa di poterne avere 3 cala drasticamente (15%).

Il terzo indicatore concerne il lavoro, al centro di numerosi dibattiti. Se oltre il 90% dei giovani aspira ad un lavoro appagante e attraverso il quale trovare fonte di autorealizzazione, oltre l’80% di coloro che lavorano svolge una mansione che non ritiene pienamente soddisfacente e la metà dei giovani interpellati si accontenta di uno stipendio decisamente inferiore a quello considerato adeguato. Il 47% inoltre svolge dei lavori che considera solo parzialmente attinenti con il percorso di studi intrapreso.

Questi dati ci dicono di uno scollamento paradossale tra ciò che i giovani desiderano (ed è bene sottolineare come essi, di fatto, continuino a nutrire dei desideri) e ciò che pensano di ottenere dal proprio futuro. Non trova quindi fondamento quella parte di pensiero comune che sostiene che i giovani non hanno più aspettative e desideri: al contrario, i desideri sono numerosi e ben precisi, ma hanno smesso di sperare, e forse anche di lottare per raggiungere degli obiettivi che vedono impossibili da attuare.

I dati non sciolgono il dubbio che si tratti di disillusione o realismo, ma dicono chiaramente che l’aspettativa che essi hanno è che il futuro che li attende li deluderà, non sarà all’altezza delle loro aspettative. I risultati sul lavoro sono esemplificativi: scardinando un luogo comune che li vede comodamente sdraiati nel salotto della casa dei genitori, molti giovani (con le dovute eccezioni ovviamente) cercano di adattarsi ad un mercato sempre più faticoso e sfuggente, facendo anche ciò che non è in linea con le proprie aspettative. Ma allora, se i giovani di fatto ci dimostrano di impegnarsi, anche a fronte della mancanza di un reale appagamento dei propri desideri, quello che si sta verificando in questo momento è che abbiamo a disposizione un grande potenziale che stiamo obbligando però a dare di meno di quanto potrebbe. Una miniera da cui si estraggono comuni rocce e che invece potrebbe produrre pietre preziose. I giovani ci stanno mandando un importante messaggio: che nonostante la fatica, non vogliono arrendersi.

I loro desideri e le loro aspirazioni non sono ancora venuti meno. Ci stanno dicendo che possiamo ancora fare qualcosa. Per quanto potranno resistere? Oggi è quanto mai attuale l’affermazione di Benasayag e Schmit secondo cui il futuro dipende da ciò che siamo in grado di fare nel presente. Si può pensare di raccogliere solo se si ha ben seminato: il tempo della semina però è questo.

Non investire sui giovani non significa solamente svalorizzarli e non consentire loro di contribuire attivamente al proprio paese, ma anche impedire la crescita di quest’ultimo. Dunque la qualità del futuro di ogni cittadino è legata alla qualità del futuro riservata ai giovani.

Sara Alfieri
NP FOCUS
Rubrica di NUOVO PROGETTO 

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