I ragazzi della via Pal
Pubblicato il 24-09-2018
Di Gian Mario Ricciardi - Cronache di frontiera. Ho visto, nel verde, di fronte casa, gli eredi dei ragazzi di via Pal. Hanno cominciato a trovarsi alle prime luci della primavera. Sono una decina, si convocano con Whatsapp, si dividono in gruppi e giocano ai banditi come noi, 50 anni fa. Che tenerezza! C'è la banda Garibaldi, quella del Re, quella di Robin Hood. Mi sembra, improvvisamente, d'essere tornato sul greto del torrentello dove, anche noi, calzoni corti e bretelle, disegnavamo il nostro mondo e sognavamo il nostro futuro. Lo fanno quasi ogni giorno, prima o dopo i compiti. Come noi. Corrono, urlano, s'arrabbiano, con la serietà dei grandi. Sono così innocenti che a starli a guardare mentre volano da una riva ad un albero, verificano le posizioni, decidono le uscite c'è da commuoversi. Una boccata d'ossigeno per chi, come me ha macinato cronaca nera per una vita.
Quanto sono lontani il bullismo, la droga, le cattiverie, il branco.
Che il buon Dio ce li conservi così. Ma diciamolo sottovoce. Potrebbero sentirci.
Poi penso a certe strade di Barriera Milano, Mirafiori Sud, San Salvario. Vedo, spesso, l’erba alta, le buche nelle strade, le luci che s’accendono ad intermittenza. Fatico a trovare piazze dove si possa giocare e parlare, pochi gli oratori con le porte aperte e le chiese troppo spesso sono chiuse. Sì, finalmente, è tutta una rinascita di oratori che con il coraggio, la fantasia di bravi sacerdoti, di mamme e papà gioiosi stanno organizzando una rete che, lentamente, ci restituirà i cortili, i giochi, la passione della gioventù. Ma bisogna sostenerli. I cattolici stanno disegnando un nuovo Rinascimento per i ragazzi, le amministrazioni si stanno muovendo, rinverdiscono i cinema parrocchiali, le biblioteche di quartiere. Era ora!
I ragazzi della via Pal torneranno. Devono tornare perché l’entusiasmo dei ragazzi non può finire nei sottoscala o in un prato nel quale, come cantava Celentano, non c’è neppure un prete per chiacchierare.
Ma la strada è ancora lunga. Ci sono gli anziani che alle 9 del mattino hanno già finito le loro giornate e rientrano in casa con la baguette sotto il braccio o il sacchetto del pane per stare poi dietro la finestra per ore sperando di vedere passare qualcuno o davanti alla televisione. I ragazzi vivono nei nostri paesi e città esattamente come se si trovassero tra le strade belle ma grigie di Bruxelles, ciondolano negli spazi verdi quasi sempre trascurati. E ti sembra di attraversare il nulla.
La colpa è di tutti e di nessuno. Di tutti perché nessuno s’è occupato delle banlieux prima che a Parigi si incendiassero, pochi ne hanno curato il decoro, lo sviluppo, la crescita. Ancor meno le hanno riempite di luoghi di incontro. Anzi, a volte, capita che proprio gli edifici delle scuole dei tempi del boom demografico siano aggrediti dalle ortiche e dall’abbandono, rifugi per drogati o branchi di violenti. Nessuno ha acceso il faro sulle periferie prima di papa Francesco.
Certo, la colpa è di tutti, anzi di nessuno. Ma se qualcuno avesse, anni fa, pensato seriamente a come mettere insieme culture, stili di vita e religioni diverse, creando botteghe solidali, social market, condivisione, i ragazzi della via Pal non sarebbero mai scomparsi. Perché quando si cancellano le sedi dei partiti o dei sindacati (scuole di formazione discutibili fino a che si vuole, ma palestre di confronto), si chiudono o si aprono a scatti gli oratori, succede che la rabbia, il livore, il risentimento seminino indifferenza. E l’indifferenza ti uccide dentro.
Gian Mario Ricciardi
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Rubrica di NP