Self-disclosure

Pubblicato il 15-09-2017

di Pierluigi Conzo

di Pierluigi Conzo - Un recente articolo di psicologia riporta i risultati di un esperimento sociale di estrema attualità per quei Paesi, regioni o città in cui vi è – per ragioni storiche o per recenti ondate migratorie – una notevole presenza di gruppi etnici diversi dal gruppo etnico maggioritario. Tale diversità può portare a situazioni di conflitto quando il pregiudizio e/o l’odio nei confronti di chi non appartiene al proprio gruppo etnico ha il sopravvento. Ciò avviene abbastanza di frequente in condizioni di povertà, che aumenta la competizione per le risorse scarse, e quando i diversi gruppi etnici non appartengono alla stessa classe socio-economica.

Non occorre andare nei Paesi asiatici o africani per immaginare condizioni di questo tipo. Un recente esempio di crescente diversità etnica in condizione di scarsità di risorse e disuguaglianza sociale è data dai recenti flussi migratori provenienti dall’est Europa e dal Nord Africa, che – seppur con dinamiche e caratteristiche diverse – contribuiscono ad accrescere la diversità sociale nei Paesi europei. Un altro caso è dato invece dalla presenza più o meno stanziale di comunità di etnia Rom nelle nostre città, la quale ha spesso inasprito una latente conflittualità guidata da pregiudizio o sull’odio reciproco.

Come si può favorire un contatto più pacifico tra diversi gruppi etnici? La teoria della “self-disclosure” dimostra che l’apertura all’altro attraverso momenti di condivisione in cui si svelano particolari di sé può diminuire il pregiudizio o attitudini negative tra membri di un gruppo etnico primario (ad es. i nativi) e i membri di un gruppo etnico stereotipato (ad es. i Rom).

L’esperimento mira a testare questa teoria attraverso un intervento di “contatto” tra studenti nativi e studenti Rom in Ungheria. In primo un campione ciascun studente nativo conosce uno studente Rom di un’altra università (campione di trattamento) mentre in un altro campione questa conoscenza non avviene (campione di controllo). I nativi inoltre rispondono a domande volte a misurare le attitudini ed il pregiudizio nei confronti dei Rom, nonché il desiderio di incontrare persone Rom. Tali domande sono poste sia prima che dopo che il trattamento (la conoscenza di uno studente Rom) sia avvenuto. Il “contatto” privato tra nativo e Rom è guidato da domande volte a stimolare l’apertura e la condivisione di elementi di sé (self-disclosure).

I risultati sono estremamente interessanti. Stimolare il contatto tra nativi e Rom attraverso una condivisione profonda riduce le attitudini negative e aumenta il desiderio di incontro dei primi nei confronti dei secondi. Il campione di trattamento mostra infatti una riduzione nel proprio grado di avversità nei confronti dei Rom e sembra più propenso ad incontrare in futuro una persona Rom rispetto a chi, invece, non ha partecipato alla condizione di contatto. Questo effetto positivo è facilitato anche dal ruolo percepito delle istituzioni. Se lo studente nativo percepisce che all’interno della propria università e durante i corsi si rispettino norme sociali di non-pregiudizio, allora è più incline durante l’esperimento a ridurre il proprio livello di pregiudizio quando entra in un contatto di self-disclosure con un Rom.

La conoscenza reciproca attraverso l’apertura all’altro, la condivisione di elementi importanti di sé ed istituzioni che sostengono norme antirazziali sono quindi strumenti potentissimi per ridurre il pregiudizio e l’odio nei confronti del “diverso”, prevenendo o riducendo occasioni di conflitto sociale tra gruppi.

Pierluigi Conzo
ECOFELICITA'
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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