Primo Mazzolari e Lorenzo Milani: Preti Scomodi o Modelli da Imitare?

Pubblicato il 30-06-2017

di Don Lucio Sembrano

di Don Lucio Sembrano - La responsabilità di tutti, in questo momento, è di saper essere pazienti e impazienti al punto giusto. Se la lentezza della germinazione è un prodigio, la lentezza del seminatore è una rovina: e nella chiesa c’è una inveterata abitudine a definire “prudenza” ogni forma di lentezza (Paolo De Benedetti, Humanitas, 1967).

Un’indicazione programmatica
La visita di Papa Francesco a Bozzolo e a Barbiana indica alla Chiesa italiana, ai suoi pastori e ai loro organismi collegiali, un’agenda che non può più essere elusa. La visita di Francesco ha un carattere programmatico: è l’indicazione di una linea spirituale e pastorale italiana, un’indicazione precisa e vivida, non incerta e non sbiadita, per i vescovi italiani. Per la nostra Italia, Francesco vuole dei parroci così. Quella che Mazzolari chiamava la «rivoluzione cristiana», e che è semplicemente il Vangelo preso sul serio, Francesco la chiama “Chiesa in uscita” missionaria.

Portando l’attenzione della Chiesa italiana su due preti contemporanei, Papa Francesco vuole indicare la possibilità di un clero non clericale, e di un laicato non clericale: di un clero che viene educato, fin dalla sua formazione seminariale, a non essere clericale e di un laicato che viene anch’esso educato, dai suoi pastori, a non essere clericale.
La Chiesa in uscita non si potrà mai realizzare senza una valorizzazione vera del «sacerdozio comune» di tutti i battezzati e le battezzate e, neppure, senza una vera ricerca della santità da parte di tutti i «ministri» nella Chiesa di Dio. Non ci può essere antitesi, nel Popolo di Dio, tra santità e ministeri ecclesiali.

Il buon grano raccolto nel tempo dalle tante esperienze di radicalità evangelica – delle quali Mazzolari e Milani sono un modello – va seminato, non tenuto in archivio. «Il seme, diceva Clemente Riva, nominato vescovo ausiliare di Roma nel 1975, e scomparso il 30 marzo 1999 all'età di 77 anni, «deve essere fatto germogliare, sviluppare, crescere in tutti i suoi aspetti, in tutta la sua carica trasformatrice». Ma soprattutto il “seme di Mazzolari e di Milani” va seminato con larghezza. La semina non è di per sé garanzia di grande raccolto (il seme può cadere sulla strada, tra i sassi, tra le spine e non dare frutto): ma il raccolto sarà sicuramente scarso se si è seminato poco o se non si è seminato affatto.

La comunità di Barbiana: l’importanza del metodo
Michele Gesualdi è uno dei primi sei ragazzi della scuola di Barbiana. Abitava accanto alla chiesa. Orfano, era stato accolto da don Lorenzo con suo fratello Francuccio. Oggi è presidente della Fondazione «Don Lorenzo Milani», che ha in cura i locali e che è riuscita a conservare questi luoghi poveri e austeri come ai tempi del “priore”. Questi muri», spiega Gesualdi, «trasmettono sofferenza e idee: sofferenza di chi la storia voleva emarginato e negato agli studi; idee capaci di formare uomini liberi».



«Un uomo illuminato che si è schierato senza mezze misure con gli ultimi e le loro ragioni, senza paura delle conseguenze. Don Lorenzo è morto senza l’abbraccio della sua Chiesa che tanto aveva cercato in vita. Nei suoi confronti solo clima negativo e silenzio: era definito il disubbidiente alla sua Chiesa, il contestatore, l’uomo della cattiva scuola, il cattivo educatore condannato per apologia di reato. Noi sapevamo che era tutto il contrario. Era l’uomo di Dio che aveva lottato per dare dignità e voce ai poveri. Il prete che opera a nome della sua Chiesa per affermare i valori evangelici per salvare e salvarsi l’anima. Il sacerdote che si era scagliato contro le ingiustizie sociali perché offendono prima Dio e poi l’umanità. L’unico modo per far emergere tutto questo, dal 1967 anno della morte ad oggi, era farlo parlare direttamente, perché don Lorenzo si conosce in profondità solo ascoltandolo». Perciò Michele ha raccolto testimonianze dirette, ordinato e raccolto i suoi scritti per farlo parlare, per far conoscere don Lorenzo attraverso don Lorenzo. E ci ha riconsegnato il suo don Milani in un libro appena pubblicato (Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana, Ed. San Paolo, 2016).

La scuola di Barbiana comincia con un doposcuola in casa del priore o sotto il pergolato. Non vi sono giorni festivi. Don Milani accoglie i più diseredati, rifiutati dalle scuole ufficiali, provenienti dalle case della zona o portati dagli amici, tra loro – come ho detto - due fratelli orfani Michele e Francuccio Gesualdi, che gli crescono in casa come figli. Francuccio andrà in Algeria, mantenendosi lavorando, per imparare le lingue. Altri ragazzi andranno da soli all’estero.
Del metodo educativo di don Milani papa Francesco aveva detto: «Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare – è questo il segreto, imparare ad imparare! – questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: don Lorenzo Milani» (Papa Francesco, Incontro in Vaticano con il mondo della scuola italiana, 10 maggio 2014).

Il rifiuto da parte della Curia fiorentina
In Esperienze pastorali (1958), don Milani prende le distanze dalle forme di intrattenimento in uso negli oratori e nelle parrocchie, indicando lo studio e non lo svago come strada maestra dell’apostolato. Lo fa con un modo di esprimersi diretto, insolito tra i sacerdoti, che risulta scomodo alla Curia fiorentina. Le sue parole riflettono insieme la sua “toscanità” e la radicalità del convertito.
Lorenzo Milani era nato a Firenze nel 1923 in una famiglia colta, facoltosa e agnostica. Lui e i suoi due fratelli vengono battezzati quando si profila il rischio delle leggi razziali, dato che la mamma è di origine ebraica. Nel 1930 la famiglia si trasferisce a Milano e Lorenzo consegue là la maturità classica. Frequenta l’Accademia di Brera. Nel 1941, Lorenzo sta studiando pittura e progetta di affrescare una cappella nella tenuta di famiglia a Montespertoli. Scrive una lettera all’amico d’infanzia Oreste Del Buono: «Ho letto la Messa. Sai che è più interessante dei Sei personaggi in cerca d’autore?». Un paio di anni dopo, don Bensi, suo padre spirituale, racconta che Lorenzo, per non interrompere un dialogo avviato con lui, lo accompagna a celebrare il funerale di un giovane sacerdote e in quell’occasione promette: «Io prenderò il suo posto». Comincia «l’indigestione di Cristo», lo studio intenso e appassionato, cui segue l’ingresso in seminario e l’ordinazione. Il 13 luglio 1947 Lorenzo Milani celebra la prima Messa.

«Trasparente e duro come il diamante, doveva subito ferirsi e ferire», così fu definito don Lorenzo Milani da don Raffaele Bensi, suo padre spirituale dalla conversione alla morte, avvenuta a 44 anni il 26 giugno del 1967 in via Masaccio a Firenze, a casa della madre dove aveva trascorso gli ultimi mesi di vita.
A San Donato a Calenzano, un comune operaio in provincia di Firenze, a larghissima maggioranza comunista, dove era stato mandato come cappellano dell’anziano don Pugi, la voce del giovane don Milani tuona con una franchezza sconosciuta e il suo dialogo “con i lontani” dovette sembrare troppo aperto.

Quando il 12 settembre del 1954 muore don Pugi, don Milani non fu confermato parroco al suo posto. Gli fu assegnata, invece, Sant’Andrea di Barbiana, una pieve isolatissima sul monte dei Giovi in Mugello. Barbiana non è un paesello: è una chiesetta, con una povera canonica, qualche cipresso e un piccolo cimitero, sul cocuzzolo di una montagna a cinquecento metri d’altitudine: quaranta anime sparse per le case lontane.
Don Lorenzo Milani ci arriva, accompagnato dalla governante di San Donato il 6 dicembre del 1954. Si sale a piedi, per una mulattiera. Non c’è acqua corrente, né gas, né luce. Don Milani ha 31 anni.

Il giorno dopo compie un gesto significativo: va in Comune a Vicchio e si compra una tomba al cimitero di Barbiana. Vuole stare fino alla fine tra quella gente, pastori e agricoltori, destinati dalla scuola di Stato all’analfabetismo, defraudati, di fatto, del loro diritto all’istruzione e dei loro diritti successivi, senza poter dire la propria come persone, come cittadini, come cristiani.
Ai suoi ragazzi lascia un testamento che si conclude così: «Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto. Un abbraccio, vostro Lorenzo».



Da prete scomodo a modello di parroco
Nel 2014 Papa Francesco rimuove il provvedimento d’inopportunità emesso nel 1958 dal Sant’uffizio su Esperienze pastorali. Il 20 giugno 2017 è il primo papa della storia a pregare a Barbiana sulla tomba di don Lorenzo Milani e nelle parole pronunciate quel giorno riammette, definitivamente, nell’alveo della Chiesa il Priore di Barbiana, che è «un bravo prete da cui prendere esempio». Ora possiamo dire che don Milani aveva ragione, quando diceva: «Fra cinquant’anni mi capiranno». Era troppo avanti.
«Non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale. In una lettera al vescovo scrisse: ‘Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato’. Dal cardinale Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi gli arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il vescovo di Roma».

No alle strumentalizzazioni ideologiche
«Barbiana era molto più di una scuola, era un vivere in comune». Non può esistere un “don Milani in pillole”, citato a seconda di circostanze e convenienze, così come il famoso passo dell’obbedienza che non è più una virtù, non deve essere interpretato come un generico invito alla ribellione, ma come un’esortazione a seguire la voce della propria coscienza, che non è mai accomodante, che sempre ci chiama a quelle responsabilità che proprio il conformismo e l’obbedienza acritica permettono di eludere.
Quando il Cardinale Betori ha escluso l’apertura immediata di un processo di beatificazione per don Lorenzo Milani, ha voluto provocatoriamente sottolineare la necessità che le sue parole siano liberate da ogni retorica, non mitizzate, sottratte a strumentalizzazioni ideologiche, difendendone invece la permanente e feconda capacità di stimolo. “Non cerchiamo in lui un esempio da imitare, cosa che egli ha sempre sfuggito, ma vorremmo ripensare le ragioni per cui non fu compreso nei suoi giorni e per cui può ancora illuminare la dedizione di tutti, in particolare dei preti, al Vangelo e alla Chiesa e ai poveri, nel nostro tempo”.

Essere consapevoli significa essere responsabili, significa mettere la nostra libertà al servizio di chi libero non è. È di questa libertà che don Milani è stato maestro. A noi spetta il compito di esserne, almeno, testimoni credibili.
Chi è parroco, non necessariamente in una comunità sperduta in montagna, ma comunque in una realtà difficile, segnata da analfabetismo, ignoranza, mentalità clientelare e mafiosa, povertà e disoccupazione, si aspetterebbe un sostegno materiale e morale da parte dei superiori ecclesiastici. E invece, il più delle volte, si trova tremendamente solo. Lo avevano capito bene, in particolare, don Giuseppe Diana a Casal di Principe, e padre Pino Puglisi, a Palermo, che non hanno taciuto. Sicuramente, entrambi han pensato almeno qualche volta che non c’era una strada diversa da quella tracciata da don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. E l’hanno percorsa fino in fondo. Come loro, e con Gesù, hanno dato la vita per il loro gregge.

Don Lucio Sembrano

 

 

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