Fai finta che sono le stelle

Pubblicato il 11-12-2016

di Marco Grossetti

CIELO

Felicizia è un posto dove i bambini inventano parole nuove perché succedono cose troppo speciali per essere raccontate con quelle che i grandi hanno chiuso nei vocabolari: ci sono folletti che fanno incantesimi buoni e ad ogni bambino può capitare per sbaglio di mettersi in testa invece che un cappello per proteggersi dal freddo, la scatola dei sogni per scappare dalla tristezza. A Felicizia capita che siano i piccoli a correggere i grandi, come quando gli ultimi non vogliono credere di stare sotto un cielo pieno di stelle e spiegano che quella è soltanto un’ordinata fila di lampioni accesi per illuminare la strada. Allora i bambini fanno un lungo sospiro e stando attenti a non fare sentire in colpa chi hanno davanti, spiegano che bisogna proprio fare finta che quelle siano stelle per continuare il viaggio nello Spazio e non far finire il gioco. Quando si arriva alla palla di fuoco rossa, ehm, al semaforo rosso, poi la macchina, scusate, l’astronave, si ferma per evitare l’esplosione, mica per non sbattere con la meteorite che sta passando con il turbo, cioè, la palla di fuoco verde, nel senso opposto. Qualche bambino un po’ più distratto dentro la scatola dei sogni deve averci fatto il bagno da piccolo e allora continua a costruire draghi, progettare missili spaziali, inventare indovinelli di cui non sa la soluzione: nel cielo sta così bene da non avere nessun motivo per scendere sulla terra.

SOGNI

Ogni bambino caduto da piccolo dentro la scatola dei sogni ha una mamma un po’ sbadata ed un papà tanto confuso da finire a volte per sbaglio in un’altra città senza sapere come si torna indietro, perché non avendo mai letto Pollicino, non conosce il trucco delle briciole. Per ognuno la sua mamma rimane comunque la principessa più bella del mondo e il suo papà, l’unico supereroe in grado di poter sconfiggere con una sola mossa Superman, Peppa Pig e l’Incredibile Hulk. A Felicizia i grandi un po’ più bravi, quelli che si segnano gli appuntamenti e le cose da far su un’agenda e sono così avanti da riuscire anche a ricordarsele, hanno deciso di aiutare quelli un po’ meno precisi, stando molto attenti a non sgridarli e a non farli sentire in colpa, come hanno visto fare ai bambini. Come stai? Posso aiutarti? Vuoi che ti accompagno? Posso venire anch’io? Andiamo insieme? Capita così che i bambini che ne hanno bisogno, incontrino dei dottori, mettano vetri magici davanti agli occhi che gli fanno vedere anche quello che c’è scritto lontano, smettano di confondere il pranzo con la colazione e di mettere la maglietta al posto della giacca. Facendo tutto questo, ogni mamma trova anche il tempo di parlare con chi l’accompagna delle treccine viola che ha sopra la testa o di quanto sia stanca morta per il lavoro, tornando a sentirsi una persona.

SOLI

Succede a Porta Palazzo, quartiere multietnico nel cuore di Torino, dove bambini e ragazzi immigrati di prima e seconda generazione, trovano all’Arsenale della Pace la loro seconda casa in cui avere le stesse possibilità di tutti gli altri. Dalle interviste ai genitori di oltre 150 minori, realizzate sulla traccia preparata da una neuropsichiatra infantile, emerge un profondo senso di solitudine, il trauma di arrivare in un Paese con una cultura e una lingua completamente diverse dove inventarsi dal nulla una vita nuova, la triste presenza in sottofondo con cui dover fare i conti di continue problematiche economiche ed abitative. L’Arsenale sta cercando di diventare casa anche per i più grandi, attraverso una proposta educativa dedicata alle famiglie: c’è un servizio di segretariato sociale per tutti i nuclei familiari in difficoltà, la possibilità di frequentare la scuola di italiano del Sermig al mattino, di accedere ai servizi specialistici del poliambulatorio medico, di partecipare a corsi e laboratori gestiti dai volontari dell’associazione eWivere. Per tutte le mamme poi c’è, Mama Fitness, un laboratorio di danza corporea, dove hanno la possibilità di tenersi in forma divertendosi, ritrovando nel ruolo di madre un’identità comune più forte delle differenze. La cura per non sentirsi soli, è la stessa che sta funzionando con i bambini: la medicina si chiama amicizia, la si prende ad intervalli regolari, ogni volta che si ha occasione, attraverso spazi di ascolto e conoscenza reciproca dove sia possibile l’incontro.

RICAMBIARE

A Felicizia poi ci sono momenti in cui si ferma il tempo e basta una parola, grazie, per dare un senso a tutto. Come quando, dopo mesi e mesi di tentativi non andati a buon fine, un bambino smette di scappare dalla sua sedia, buttare per terra la matita, mangiare la gomma e strappare il foglio e come non aveva mai fatto prima inizia a leggere una dietro l’altra quasi tutte le lettere dell’alfabeto. O come quando un ragazzo egiziano che veniva messo alla porta un giorno no e uno sì perché non riusciva a rispettare la prima regola di Felicizia, parlare in italiano, e neanche la seconda, la terza, la quarta e tutte quelle che vengono dopo, dice che adesso, smontato il banco al mercato, sarebbe tanto felice di aiutare i bambini che vengono a giocare a calcio, come qualcuno ha fatto con lui, perché sente che è arrivato il tempo di restituire tutto l’amore che ha ricevuto e ricambiare il bene con il bene. O come quando tre ragazzine marocchine e nigeriane or-ganizzano con una mamma italiana ed una mamma cinese, una festa di Halloween per i bambini più piccoli, con-vincendoli che donare ad altri bambini meno fortunati di loro tutte le caramelle che hanno raccolto facendo dolcetto e scherzetto, è semplicemente la cosa più bella più giusta che possono fare.

SCERIFFO

Un poco alla volta, i quaderni dei bambini caduti da piccoli nella scatola dei sogni, oltre che di brutti segni rossi e di pagine tristemente incomplete, si riempiono anche di stelle per il merito come quelle degli sceriffi, mentre al collo fanno bella mostra di sé medaglie al valore, segno dei loro grandi miglioramenti. Metti mai che si convincano di poter essere bravi e forti come tutti gli altri bambini anche sulla Terra e gli venga voglia di scendere dal cielo un po’ più frequentemente. Quando per sbaglio alzi gli occhi e continui a vedere la stessa fila di lampioni, ti chiedi perché mai dovresti fare finta che sono stelle. Poi arriva un messaggio della lo-gopedista che gratuitamente da alcuni anni aiuta i bambini con difficoltà di apprendimento: il suo maestro di aikido è disponibile, sempre gratuitamente, a fare un corso per una ventina di ragazzi e ad accogliere nella sua palestra, ovviamente gratis, un bambino così arrabbiato con il mondo, da far cercare disperatamente alle sue maestre un posto diverso da farlo stare rispetto alla scuola. Una ragazza di Roma, invece, si presenta con due docenti universitarie della Facoltà di Psicologia per trasformare i problemi di matematica in ricette, e provare a fare diventare più bravi i bambini a scuola attraverso un laboratorio di cucina. Allora ti tocchi la testa per essere sicuro di non avere messo anche tu per sbaglio la scatola dei sogni e inizi seriamente ad avere paura di esserci caduto dentro da piccolo. Non c’è più neanche bisogno di fare finta. Le stelle sono finite dappertutto.

Foto: Ciriello

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