Una fede disarmata

Pubblicato il 19-11-2013

di Ernesto Olivero

di Ernesto Olivero - Noi, che spesso abbiamo il nome di Dio sulle labbra, dovremmo anche avere la saggezza di farlo scendere nel nostro cuore. Quando questo avviene, l’uomo non è più un uomo, ma un impasto con Dio, la dimora di Dio. Quindi chi riesce a far entrare Dio nel cuore vede ogni uomo, ogni donna, bianco, nero, dell’est o dell’ovest, del nord o del sud, di qualsiasi religione come figlio di Dio.

Se guardiamo il passato non so chi possa scagliare la prima pietra. Se guardiamo i torti fatti e subiti non so chi vincerà o perderà. A questo punto della mia vita, dopo aver fatto tanti passi, tanta esperienza di conversione, posso dire che alla pace, ad un minimo di convivenza tra le religioni si arriva a partire da un quadro di regole comuni, da tutti riconosciute, a partire dallo stato di diritto. Noi che diciamo di credere in Dio abbiamo una grande opportunità: correggere errori, scomuniche, odi e intolleranze del passato, perdonare le violenze subite, rifiutare le guerre sante. Ma il nostro cuore è pronto a questa conversione?

Spesso chi crede in Dio vuole credere in una bandiera, in un Dio fatto a misura delle proprie convinzioni e certezze. Mi chiedo come sia possibile innalzare al rango di Dio il Dio che la pensa come me, che considera l’altro l’infedele, il misero, il senza terra, il paria! Da vent’anni a Torino molti musulmani hanno trovato un rifugio sicuro da noi, hanno trovato cure e accoglienza disinteressata e gratuita. Negli ultimi anni siamo stati centinaia di volte nei loro Paesi con aiuti umanitari quando guerre, sciagure, calamità richiedevano una presenza immediata ed efficace. Da allora mi sento libanese, giordano, palestinese, iracheno, iraniano, israeliano e amo queste terre antiche come amo la mia. Mi chiedo però perché non posso andare in alcuni di quei Paesi portando la mia Bibbia, pregando in privato e in pubblico da cristiano. Mi domando perché tanti cristiani sono costretti a scappare dai Paesi islamici o sono considerati cittadini di rango inferiore. Mi chiedo perché negli Stati islamici dove c’è la sharia le donne non abbiano gli stessi diritti degli uomini, perché lo Stato e la religione dominante sono un tutt’uno, perché i diritti umani non sono riconosciuti, perché non c’è libertà.

Noi abbiamo solo il presente da vivere e in questo tempo ci giochiamo la nostra vita, la nostra eternità, il nostro destino. Io musulmano, io ebreo, io cristiano, io non credente: tutti arriviamo da ieri e la mia situazione di oggi è il risultato di tradizioni religiose, culturali, sociali e politiche, di fatti, di eventi che più o meno consapevolmente mi condizionano. Tutti i nostri io hanno una ragione, hanno una validità, esigono rispetto. Ma perché oggi si verifichi un vero cambiamento il passato va rivisitato. Pensiamo solo agli errori che abbiamo prodotto negli ultimi cento anni di storia: milioni di morti in guerra, genocidi, intere popolazioni perseguitate e oppresse a motivo della loro religione o delle loro scelte politiche, milioni di persone sfruttate e oppresse, affamate, assetate private dei loro diritti naturali.

Oggi chi può dire: “Basta”? Chi lo vuole dire? C’è chi ha perso figli, fratelli, amici sotto le bombe israeliane. E che dire di quella povera ragazza di Gerusalemme vittima di un attentato terroristico? Aveva venti anni. Avrebbe dovuto sposarsi dopo poche ore, il sogno della sua vita! Al suo innamorato è rimasto solo l’anello. Quali sentimenti avrà ora nel suo cuore? Quel ragazzo kamikaze che si è suicidato con la certezza del paradiso sicuro per lui, da dove arriva, chi lo ha spinto a quel gesto disperato, chi mette in quelle giovani coscienze pensieri di odio e di vendetta così tremendi ed esasperati?

Anche io di fronte a questi fatti ho sentimenti di rabbia, di dolore, di vendetta, ma da tempo ho detto basta. Forse è questa l’epoca in cui devono emergere i buoni ebrei, i buoni cristiani, i buoni musulmani, i buoni di qualunque cultura, tradizione religiosa o laica. Forse è il tempo di imparare a scegliere la bontà che disarma e porta a riconoscere nell’uomo un fratello o almeno una persona da rispettare. La bontà è l’unica chiave per dialogare con l’uomo. I buoni non sono mai stranieri in nessuna parte del mondo, non sono estranei a nulla e a nessuno. Solo i buoni possono indicare una strada buona, soluzioni buone, economia buona, politica buona, potere buono a servizio del bene, confini buoni, regole buone. Possono essere il sale, possono trasfigurare il mondo perché sanno chiedere perdono a Dio e ai fratelli e accettarlo da Dio e dai fratelli. I buoni possono l’impossibile, possono desiderare che finalmente pace e giustizia abitino insieme, cementate dal perdono. È vitale che i buoni si riconoscano e si incontrino. I buoni possono dire la verità nella carità, scoprire ciò che unisce, apprezzare il buono degli altri e riconoscere che le divisioni di oggi arrivano da errori, mancanza di carità, incomprensioni, interessi e paure di ieri.

Vorrei un mondo dove chi ha trovato Dio sia rispettato nella sua coscienza allo stesso modo di quanti lo cercano senza trovarlo e di quanti non credono alla sua esistenza. Un mondo che non abbia paura di chi crede e non disprezzi chi non crede. Vorrei un mondo dove essere curato non è un privilegio, dove ogni bambino può giocare, sognare, studiare. Dove nessuno muore di fame, nessuno è fatto schiavo, nessuno soffre la brutalità della guerra. Un mondo in cui tutti godono degli stessi diritti umani universali, un mondo in pace.

Vorrei un mondo dove la diversità può trasformarsi in una ricchezza. Sogno veramente un mondo dove la moschea, la cattedrale, la sinagoga, la sede del partito, il centro culturale siano dei luoghi sacri, sacri per la vita.

Anche noi europei ed occidentali per primi possiamo e dobbiamo cambiare se vogliamo un mondo più vivibile. Non so se tutta la libertà di cui godiamo è vera libertà. Non so se il cosiddetto mondo libero è veramente libero o non è piuttosto schiavo del consumismo, di un sempre più diffuso opportunismo politico, delle droghe, della prostituzione, di un individualismo sterile che sfocia nell’egoismo. Non so se in occidente la donna è veramente libera e rispettata, piuttosto mi sembra spesso usata come oggetto, come immagine da mostrare per promuovere un certo tipo di consumo, usata per la pornografia e per il sesso. Un pezzo di soluzione potrebbe consistere nel togliere quel tanto o poco di ipocrisia che c’è in tutti i sistemi sociali. Se la democrazia fosse vera diventerebbe un formidabile mezzo per far crescere opportunità di lavoro, di sicurezza, di cure, di pensiero, di giustizia, di pace per tutti e non solo una copertura ammantata di civiltà per far pagare agli altri – ai miseri e ai deboli – il prezzo del proprio benessere. Se i governi teocratici fossero veri ci sarebbe la legge di Dio, cioè l’amore, e non la legge di pochi che impongono il proprio modo di vedere a tutti spacciandolo per modo di vedere di Dio, e la gente sarebbe finalmente libera di vivere con sincerità la propria fede o la propria laicità facendola diventare uno strumento di incontro con gli altri e non di scontro.

In questo nostro tempo c’è tanto dolore, ci sono tante malattie che l’uomo ritiene incurabili, spesso affidate alle cure dei maghi e degli imbroglioni. Troppa gente muore, troppa gente non ha più lacrime per piangere, vive in compagnia dell’odio e della disperazione. Di fronte alla sofferenza il comando di Dio: “soggiogate la terra”, mi martella la mente e il cuore per le possibilità e le speranze che contiene, per le prospettive di intervento che spalanca per noi. In questo tempo così carico di tensioni e di violenza dobbiamo aiutare la donna e l’uomo a ritrovare se stessi, a dare il meglio di sé; i bambini e i giovani a crescere liberi dai condizionamenti esasperati imposti dalle nuove tecnologie, dal consumismo, dai modelli culturali, dalle povertà e dalla fame. Possiamo riscoprire la bellezza di vedere negli altri l’immagine di Dio che ci aiuta a crescere insieme e non contro, a togliere le parole odio, nemico, infedele.

Speciale - Oltre Babele - 3/6 - NP di Agosto/settembre 2012

Confusione, incapacità di ascolto, di comunicazione, assenza di ideali e valori: una faccia della babele dei nostri tempi. A pagare sono soprattutto le nuove generazioni, i loro sogni, il loro futuro. Per superarla serve una rivoluzione di speranza: giovani e adulti che si educano al bene, coltivano un pensiero forte, vivono la responsabilità. Rientrano in se stessi per aprirsi agli altri.

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