La nostra scelta

Pubblicato il 07-11-2013

di Lapo Pistelli

di Lapo Pistelli - Che tempo fa nel mondo arabo due anni dopo l’avvio di ciò che è stata denominata primavera?


È possibile tirare un bilancio? Siamo entrati nell’inverno islamico, come temono alcuni? Che responsabilità porta l’Europa e quali impegni può assumersi un Paese come l’Italia?


Non è facile rispondere in poche battute a que
sti e ai mille altri possibili interrogativi sollevati dagli eventi che tanto hanno appassionato anche la nostra opinione pubblica, ma è giusto tentare di dare in poche pennellate il senso di una pagina di storia le cui conseguenze andranno ben oltre la nostra abitudine al consumo istantaneo di news.

La primavera è stata innanzitutto un insieme di fenomeni molto diversi fra loro, avvenuti – com’è giusto sottolineare – in Paesi e contesti del mondo arabo, l’uno differente dall’altro. Si è trattato inizialmente di fenomeni massicci di protesta politica ma soprattutto sociale, di rivolte, alcune delle quali trasformatesi in rivoluzioni.


In altri Paesi si è tentata fin dal principio, più consapevolmente, una rivoluzione, un rovesciamento degli equilibri politici, pagando in genere un prezzo di sangue più alto. In altri Paesi, com’è noto, la primavera non è invece mai arrivata. Per tutti i Paesi, rivolte o rivoluzioni che siano state, è sempre avvenuto un risveglio dell’identità musulmana, quasi sempre sunnita, anche se la prima avanguardia rivoluzionaria ha avuto prevalentemente una matrice laica.

Le rivolte sono nate dall’esasperazione sociale ed economica, figlia della crisi che ha toccato anche l’Europa e colpito i Paesi mediterranei, dalla frustrazione politica di una nuova generazione alfabetizzata e più aperta al mondo che non tollerava gli autocrati al potere, anziani, familisti e corrotti; esse hanno trovato nei new media e nei social media modalità organizzative che hanno messo in crisi la repressione tradizionale e hanno tratto energia dal fenomeno drammatico delle autoimmolazioni, dal corpo (che il terrorismo usava per uccidere altri) sacrificato per testimoniare una ribellione estrema.


È stata una tempesta perfetta: nessuno di quei fattori da solo sarebbe stato sufficiente
; tutti assieme hanno moltiplicato il loro effetto. Tre sono le sub regioni del mondo arabo e tre, non a caso, sono le macro-tendenze emerse. Nel Golfo, le petro-monarchie sono state sostanzialmente impermeabili alla primavera, si sono protette con laute provvidenze elargite a una popolazione che non paga tasse e non ha rappresentanza, sono però attivissime (e talora in competizione) per allargare la propria sfera di influenza nella altre regioni, condizionando le transizioni altrui. Per i Paesi del Golfo, la primavera araba è una malattia delle repubbliche da cui si ritengono immuni.

Nel Mashreq, crocevia storico di commerci e culture
, di etnie e di fedi, area di competizione fra vecchie e nuove potenze, lo smottamento degli equilibri è stato più drammatico e incontrollabile: lo testimoniano l’implosione del regime siriano, l’allargamento dei disordini al Libano, gli equilibri cambiati nel panorama palestinese, la nuova politica regionale turca. È l’unica regione dove rivolte e rivoluzioni di natura interna hanno conseguenze importanti anche di natura internazionale poiché cambiano il peso degli attori in gioco: lo scontro confessionale fra sciiti e sunniti, la capacità di influenza di Stati Uniti, Europa, Russia e Turchia.

Nel Maghreb, a noi più vicino, le dinamiche seguono traiettorie più prevedibili e comprensibili, complice un’eredità coloniale non tutta da buttare: si è votato in tutti e cinque i Paesi, si sono riscritte, o lo si sta facendo, quattro Costituzioni, si comincia ad articolare una dinamica politica di grande interesse. E proprio questo laboratorio solleva l’interrogativo sulla compatibilità fra Islam e democrazia, ora che la Fratellanza musulmana, con le diverse sfumature interne e nazionali, esercita le responsabilità di governo in molti di questi Paesi. Occorre, a mio avviso, essere cauti ma netti.

L’Islam non ha conosciuto, come nella storia europea, la separazione fra Stato e Chiesa, non incorpora la nozione di laicità. Perciò esso sta sperimentando, giorno dopo giorno, la fatica del governare società complesse nel mondo globale. Da un lato, la Fratellanza combatte con le frange minoritarie, salafite e jihadiste, che non riconoscono le regole del voto democratico e meno che mai le categorie della mediazione politica. Si tratta di una battaglia difficile che dobbiamo, se possibile, aiutare a vincere. Dall’altro, essa deve cimentarsi con sfide economiche complesse e dialogare con ambienti internazionali diversissimi dalla propria natura, cercando di non smarrire un’identità che la rende rappresentativa del proprio popolo. E tutto deve avvenire nei tempi stretti, tipici delle aspettative generate da una rivoluzione.

Anche noi abbiamo una scelta. Possiamo resuscitare le paure e i luoghi comuni che ci hanno visto sostenere senza ansia gli autocrati degli scorsi decenni o possiamo ingaggiarci, noi e loro, in un rapporto di dialogo serrato, fondato sul rispetto e anche sul confronto duro su temi delicati come il ruolo delle donne, grandi protagoniste nei mesi della primavera.

Noi europei, e noi italiani ancor di più, non solo possiamo farlo, ma dobbiamo farlo perché nessun altro verrà a sostituire le nostre responsabilità nell’area di vicinato. E perché la qualità delle

democrazie che si svilupperanno dipende anche dalla nostra capacità di investire genuinamente in quei processi.

Nessuno metterebbe in discussione come la Rivoluzione francese sia tuttora uno dei pilastri dell’identità e del pensiero europeo e occidentale. Eppure al 1789 seguì il Terrore, Napoleone e pure il Congresso di Vienna. Ecco, anche le primavere arabe soffriranno passi falsi, difficoltà, penose contraddizioni, che richiederanno tempo e pazienza. Ma gli eventi di questi due anni hanno messo in crisi profondamente la trama di quelle società, hanno dimostrato (vedi le proteste del Cairo) che se si è stati capaci di abbattere un dittatore si può tornare in piazza se non si è soddisfatti del presidente neo-eletto, che la stagione dell’eccezionalismo arabo volge finalmente al tramonto.

Spetta a noi decidere fino a che punto vogliamo coinvolgere noi stessi in questa terza ondata di democratizzazioni che, dopo l’America Latina degli anni 80 e l’Europa orientale negli anni 90, tocca finalmente anche la sponda sud del nostro mare.

Lapo Pistelli

Vice Ministro degli Esteri, docente di relazioni internazionali alla Stanford University e autore dell’ebook Il nuovo sogno arabo – Dopo le rivoluzioni, edito da Feltrinelli e disponibile su tutte le piattaforme digitali.

Speciale - La rivoluzione incompiuta - 3/5

Dopo due anni, cosa rimane e soprattutto dove sta andando la Primavera araba? Tra tensioni e speranze, un viaggio al centro di una trasformazione comunque epocale.

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