A caro prezzo
Pubblicato il 03-07-2013
di Francesca Fabi - Si fa presto a dire libertà di stampa. Nel mondo, i giornalisti continuano a morire. La storia di chi ha perso tutto per difendere un sogno.
La vita di Alizée è cambiata all’improvviso per un’intervista non gradita. Poco più che trentenne, giornalista per passione nel vortice politico del Camerun. Il prezzo da pagare è stato altissimo: la casa saccheggiata, le minacce alla famiglia, la fuga in Europa per salvare la pelle. Oggi Alizée vive nel Nord Italia, sta rimettendo insieme i pezzi della sua vita come rifugiata. Il giornalismo le ha dato e le ha tolto tutto, ma non la dignità. “Scrivere è sempre stato il mio sogno, – dice – ho faticato per realizzarlo, tutti dobbiamo lottare per una libertà di stampa vera e piena”.
Alizée, tu lavoravi in una radio scomoda…
Più che scomoda, direi imparziale. Parlavamo di politica in modo equilibrato, ma sembrava che questa scelta desse fastidio al governo in carica. A partire dal 2008, abbiamo avuto sempre problemi. Tutto è coinciso con la proposta di riforma della Costituzione per consentire un mandato illimitato al candidato presidente. La gente è scesa in piazza, noi abbiamo denunciato alcune storture del potere. Da lì sono nati i nostri problemi.
Cosa è successo?
Da quel momento, sia l’editore che noi giornalisti, abbiamo cominciato a ricevere minacce di morte. Credevano che volessimo destabilizzare il Paese, dando un punto di vista diverso su quello che faceva il Governo. Ci controllavano. Anche i miei figli hanno subito minacce. Una volta, hanno cercato addirittura di rapirli all’uscita della scuola. Io ho denunciato tutto e per un po’ di tempo siamo stati tranquilli.
Fino a quando?
Fino al 2010, quando abbiamo protestato per l’arresto di tre giornalisti: un collega morì in cella a Yaoundé. Personalmente, sono scesa in piazza per denunciare l’accaduto, ci ho messo la faccia. Il punto di non ritorno, tuttavia, è stato qualche mese dopo. Con l’intervista che ha cambiato tutto.
Chi avevi intervistato?
Era uno degli ex leader degli studenti universitari, riparato all'estero. Avevamo parlato di corruzione, della povertà della popolazione, chiamato in causa le responsabilità dirette del Governo e la possibile via di uscita delle opposizioni. Quell’intervista fece discutere. Mi accusarono di aver incitato alla rivolta. Nulla fu più come prima.
Perché?
La mia vita e quella della mia famiglia diventarono un incubo. Le minacce di morte erano continue a tal punto che decisi di smettere di scrivere. Ho dovuto cambiare casa e scuola ai miei figli. Mia mamma poi non stava bene di salute. Non mi sarei mai perdonata se le avessero fatto qualcosa! Eppure, non è servito. Una notte, degli sconosciuti sono piombati a casa mia, l’hanno saccheggiata portando via tutto il mio archivio: otto anni di lavoro.
Tu eri in casa?
No, c’era la mia famiglia, che è stata minacciata con le armi e poi torturata. I miei vicini erano terrorizzati. Nessuno voleva parlare. L’obiettivo ero io. Fortunatamente, mio padre aveva un amico nell’esercito che mi ha aiutato a scappare in Italia. I miei figli e la mia famiglia sono ancora in Camerun.
Pensi a loro?
Sempre, oggi penso alla loro sicurezza. Poi, vedrò come continuare la mia lotta. Non posso stare a guardare con le braccia incrociate. Il Governo dice che nel Paese esiste la libertà di stampa, ma i giornalisti vengono uccisi, muoiono nelle celle, perché hanno investigato sulla corruzione. Non credo che questa sia libertà di stampa. Non è possibile essere minacciati se intervisti un esponente dell’opposizione. Noi facciamo solo il nostro lavoro e dobbiamo ascoltare tutti. Nient’altro.
La risposta alla repressione è continuare a farlo.
Speciale - Dentro le notizie - 4/9
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foto: Maurizio Turinetto