Italia Buon anno!

Pubblicato il 06-02-2013

di Gian Mario Ricciardi

di Gian Mario Ricciardi - Serve un’iniezione di ottimismo per superare difficoltà economiche, ingiustizie, stagnazione culturale.
Un’Italia più povera, più triste e con l'ansia dentro. La ripresa arriverà? Tarderà? Succede, era già accaduto nel 1929. Quando la crisi persiste, brucia, urtica, diventa una sgradevole compagna di viaggio, per troppo tempo, si ha paura che non ci abbandoni più. È un’Italia impaurita quella che riprende il cammino nel 2013 dopo i sorrisi forzati delle feste. La sua cinghia dei pantaloni non ha più buchi: finiti.

I conti dello Stato sono in regola, quelli delle famiglie disastrati: consumi giù come non succedeva da anni, tredicesima bruciate da Imu e mutui, vendite di tutti in picchiata, il risparmio crollato del 5,8 per cento. Lo dice l'Istat, lo dice il Censis, lo dice anche la verduriera sottocasa che chiude a fine mese sconfitta dagli iperstore generosamente regalati da una classe politica in stato confusionale alle grandi multinazionali. Lo dice anche la panettiera Piera che getta la spugna. E così la crisi, prima di tutto, cambia la geografia dei nostri paesi: meno negozi, meno luci la sera, meno gente con cui parlare e i nostri cortili, le nostre piazze rischiano di diventare come l’oratorio di Azzurro di Celentano, deserti, "neppure un prete per chiacchierar". Quello, ormai, se va bene lo trovi sul cellulare.

È così che comincia la fine dei paesi. Il colpo alle province che poi era più che giustificato è saltato, ma il prossimo colpo, chiunque arrivi a palazzo Chigi, sarà sulla testa dei piccoli comuni. Verranno obbligati ad accorparsi, a mettere insieme i servizi, a tagliare ancora. Come non deprimersi. È iniziata per tutti l’età dell'ansia. Non la generica paura per un momento di difficoltà, non la consapevolezza che stiamo vivendo una stagione di vacche magre ma la percezione che sta cambiando tutto.

Gli imprenditori sono in ansia perché temono di dover chiudere o fallire (nel 2012 il doppio dei fallimenti); le famiglie lo sono per il drastico impoverimento delle risorse e degli stili di vita: le banche per la loro cresciuta fragilità (e la loro non indifferente dose di egoismo); i clienti in preda alla paura dello spread.
Stiamo vivendo il dramma europeo che è legato a grandi fenomeni (le non regole delle banche, i non poteri dell'Europa...), ad eventi estremi (che sembrano completamente nelle mani della finanza e degli speculatori), ad una crisi di sovranità. È un mix esplosivo, pericolosamente subdolo, che ti lavora dentro.

È un’Italia più povera quella del 2013. Quella che conta nel 2012 due milioni e mezzo di famiglie che hanno superato le difficoltà o le emergenze portando dai compra oro la gioielleria di famiglia, svendendo i tappeti, l’argenteria. Quella che ha visto il ceto medio smottare verso il basso, quasi il novanta per cento dei nuclei famigliari tagliare su tutto e tornare a cercare al mercato le offerte più vantaggiose.
È un’Italia in preda al più forsennato conformismo laico. Tutto deve essere laico (la Costituzione, la religione, i sentimenti) così laico che ormai di Gesù bambino parla solo più Benedetto XVI, gli altri solo di Babbo Natale. Fa più fine, fa certamente più malinconia nell’Europa cristiana. Tutto deve essere più laico e anche più volgare spesso in barba ai valori fondamentali che hanno illuminato la nostra vita.

È un’Italia dove i ricchi sono più ricchi, i poveri più poveri. Ed è un’Italia che continuerà ad avvitarsi su se stessa se la sua componente cattolica non tornerà a testimoniare con forza, ogni giorno, con costanza, con ostinazione che la crisi non ha cambiato i valori fondamentali della vita, che la crisi non ha ammazzato la speranza, che la speranza vissuta ogni giorno può aiutare la ripresa. Perché come si fa non essere ottimisti quando si ha la fede.

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