Il meglio deve ancora venire

Pubblicato il 24-10-2012

di Marco Grossetti

 

di Marco Grossetti - Altre storie, altri sogni, un altro punto di vista. Parlano i giovani profughi arrivati a Lampedusa dall’Africa, e accolti all’Arsenale della Pace.

IL DEPOSITO DI ZIO PAPERONE
Federico ha 29 anni, e da febbraio sarà un giudice del tribunale di Torino. È il sogno realizzato che aveva da quando era bambino. Fino a pochi mesi fa lavorava in uno studio legale che difende le banche. Poi sono arrivati loro. L’hanno chiamata la Primavera Araba, e per milioni di persone la vita non è stata più la stessa. È stata una rivoluzione anche per lui. Prima usciva sempre in giacca e cravatta, ora non lo chiamano più signor avvocato e a casa non ci arriva mai prima delle dieci. Lui e Luca adesso sicuramente si sentono meno soli: condividono le loro giornate con circa quaranta profughi che hanno fatto richiesta d’asilo per ricevere lo status di rifugiato politico. Federico racconta che per questi ragazzi essere arrivati in Europa è un po’ come essere finiti dentro il deposito di Zio Paperone. Non importa se noi non ci siamo mai sentiti poveri come oggi.
Se la vita di queste persone fosse come un gigantesco monopoli, ci sarebbero tante caselle tutte uguali sparse sul loro percorso, sopra cui uno può passare ogni volta che tira il dado. Scappa. Qualcuno vuole ucciderti.
Billy ha vent’anni e arriva dal Benin. Anche lui è passato per le stesse caselle da cui sono passati quasi tutti i ragazzi con cui vive adesso. Scappa. Niger. Deserto. Libia. Scappa. Mare. Italia. Lavorava in Libia come piastrellista dopo essere fuggito via dalla miseria della sua terra, fino a quando dal cielo hanno iniziato a cadere le bombe. Billy è stato scambiato per un mercenario da un pick-up con sopra una mitragliatrice. Chi ci stava sopra ha deciso di sparargli e poi di passare sopra il suo corpo. Adesso ha una gamba di metallo. Non ha nessuna voglia di studiare l’italiano, di mettersi alla ricerca di un lavoro che tanto non potrebbe fare. È solo tanto arrabbiato.

LA BANDA BASSOTTI
Billy dorme nella stessa stanza di Samba e Babacar, due ragazzi che invece arrivano dal Senegal. Quando sono arrivati a Lampedusa e si sono incontrati in mezzo a migliaia di persone, hanno fatto finta di essere fratelli per non dover affrontare tutto quel casino da soli. Non sapevano niente di che cosa li aspettava, delle persone che avrebbero incontrato, della città e della casa che avrebbero abitato. Solo non pensavano che sarebbe stato tutto così difficile, e che avrebbero trovato il deposito di Zio Paperone vuoto, come se fosse passata la Banda Bassotti a rubare tutto.
Babacar era dovuto fuggire dopo che aveva messo incinta la figlia di un imam, che gli aveva detto: “O la sposi o ti ammazzo”. Samba invece era riuscito a fare quello che non avevano fatto suo papà, sua mamma e i suoi fratelli. Scappare. Erano stati uccisi tutti davanti ai suoi occhi. Si è salvato andando in Libia, dove aveva i documenti a posto e un lavoro regolare. Solo che il cielo era lo stesso di Billy, e anche le bombe. I soldati di Gheddafi, che voleva riempire l’Italia di immigrati, gli hanno detto semplicemente: “O parti o ti ammazziamo”. L’ultimo fratello che gli era rimasto l’hanno ucciso così! Lui è salito sopra quella nave. Era uscito un’altra volta il numero sbagliato. Doveva scappare.

FLUSS, MACHÌNA, MOLIE, BUMBINO
Adesso questi ragazzi sognano una vita migliore e un futuro diverso in Italia. Fluss, machìna, molie, bumbino: soldi, macchina, moglie, bambino. Senza cambiare l’ordine, perché prima di trovare la moglie devi avere la macchina. Per riuscirci qualcuno frequenta addirittura tre scuole: quella di italiano del Sermig al mattino, un corso professionale al pomeriggio, le 150 ore alla sera. Ricevono assistenza sanitaria e legale, possono giocare a calcio, andare in piscina, fare arti marziali, tornare a sentirsi persone. Stanno soprattutto aspettando una risposta, per sapere se possono continuare a sognare.
Sono ragazzi di vent’anni che dovrebbero avere il diritto di progettarsi una vita, invece rimangono fermi, in attesa di qualcosa che non dipende da loro. Sperano di poter ricevere almeno il permesso di soggiorno per la protezione sussidiaria, che gli permetterebbe di rimanere in Italia per un altro lunghissimo anno. I loro sogni rimangono sospesi e confusi, bloccati e congelati, avvolti dall’incertezza e dalla burocrazia di un sistema che i sogni glieli sta togliendo, dopo che erano stati distrutti dalla bombe piovute dal cielo, anche i sogni che erano riusciti a realizzare, come quello di andare a lavorare in Libia.

HO BISOGNO DI UNA STORIA
Possono volerci anche dodici mesi perché uno di loro venga ascoltato dalla Commissione per la richiesta d’asilo, e tra diniego, ricorso, appello possono passare fino a tre anni. Nel frattempo stanno in Italia a spese dello Stato, senza sapere se potranno rimanerci per sempre o se sono destinati ad essere rimandati nel posto da cui sono dovuti scappare, ma in Libia più nessuno li vuole. I ragazzi che vivono lì da dieci anni, rischiano di essere rispediti in Nigeria o in Ciad, dove non hanno più niente e nessuno che li aspetta.
Molti di loro più che essere inseguiti da qualcuno che gli ha messo una pistola alla testa stanno scappando dalla povertà e dalla miseria. Hanno capito che ci vuole una storia per continuare a stare in Italia, e anche chi non ce l’ha, non dorme la notte per inventarsi qualcosa di spaventosamente tragico e commovente, sperando di non rimanere fregato dalla data di nascita del padre, dal nome di un distretto che non conosce, o da qualche altro piccolo particolare. Perché senza quel pezzo di carta per loro diventa tutto ancora terribilmente più difficile.
 
I PIEDI PER TERRA
Billy, Samba, Babacar e tutti gli altri ricevono un sacco di cose dal programma del governo in cui sono inseriti. Per chi passa dalla miseria e dalla precarietà totale alla sicurezza di un sistema che tutela i tuoi diritti, il rischio è quello di pensare che tutto sia dovuto, come in un hotel a cinque stelle dove si è serviti e riveriti. Per evitare che la litania del voglio, voglio, voglio diventi una deriva inconcludente e pericolosa Luca e Federico cercano di aiutarli a dare un senso ad ogni cosa che ricevono e che fanno nella casa dove vivono insieme. Spegniamo la luce perché, andiamo a scuola perché, non rubiamo perché… Sono tutte cose che serviranno, dentro o fuori il deposito di Zio Paperone, con o senza quel pezzo di carta, lasciapassare per l’inferno o per il paradiso, perché in ogni caso il loro destino è in salita: tanta fatica. Per questo si cerca di responsabilizzarli, anche nelle piccole cose, a partire dal rispetto di orari e scadenze. All’Arsenale della Pace non trovano semplicemente un posto dove stare, ma un tempo e un luogo per rendersi conto che anche per loro c’è un percorso possibile. I benefit previsti nel loro progetto vengono distribuiti tutti al mattino alla scuola di italiano. Luca cerca di aiutarli a rimanere con i piedi per terra, a capire che non sono dentro il deposito di Zio Paperone, a contenere la loro rabbia quando viene fuori. E mentre Federico prepara un appello sapendo che una parola sbagliata può rovinare la vita di una persona, continua a spiegare il senso di quello che fanno.
Aiutiamo perché, non litighiamo perché, puliamo perché… E ricordandosi che almeno una volta nella loro vita si sono trovati davanti a qualcuno che ha minacciato o cercato di ucciderli, questi ragazzi non possono non pensare che almeno per loro, il meglio deve ancora venire.


Speciale – DI SOGNI E DI MERAVIGLIA 6 / 6
“Tante volte si sogna con gli occhi aperti, con la carta e la penna in mano, scrivendo, organizzando i pensieri, immaginando i passi per arrivare a concretizzare quello che non è solo un sogno, ma è una chiamata a fare del bene, ad andare incontro alla pecora smarrita, alle persone bisognose, alle popolazione che si trovano nella fame, nella guerra, nella sventura. I sogni sono belli, perché si trasformano tante volte in realtà. C’è qualche cosa in più. Diceva Helder Camara che il sogno che si sogna da solo non è altro che sogno, ma quello che sogniamo insieme è il sogno che si fa realtà. Proprio perché nell’essere condiviso con gli altri crea unione e collaborazione, porta frutto di vita e di fraternità”. (Luciano Mendes de Almeida)


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