Il Muro dei Sogni

Pubblicato il 11-09-2012

di Ernesto Olivero

di Ernesto Olivero - Il Sermig è pieno d’amore perché è pieno di storie vere. A distanza di tanti anni mi chiedo come abbiamo scoperto l’amore. Tutto è nato da un sogno: il sogno di sconfiggere la fame nel mondo.

Eravamo nati nel 1964, ma la svolta arrivò nel 1983. Avevamo vissuto i primi 20 anni come sotto una tenda, con un pellegrinare continuo, fino a quando non trovammo nella parola di Dio una chiave che sembrava fatta apposta per noi: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4). Pensai subito che il Signore ci avrebbe usato per qualcosa del genere.

A Torino, in pieno centro, nel cuore del Balôn, quartiere popolare e di immigrati, c’era un arsenale militare semiabbandonato dove migliaia di operai avevano costruito cannoni e altri armamenti pesanti utilizzati nelle due guerre mondiali. Sentimmo per un’esigenza d’amore che quell’arsenale doveva essere nostro e nella nostra incoscienza, nella nostra ingenuità, lo chiedemmo direttamente a Dio.

Ogni giorno andavamo a recitare il rosario davanti al portone di ingresso e avvolgevamo le mura dell’arsenale con la preghiera. Fino a quando le mura caddero e ce lo assegnarono con la clausola che avremmo dovuto sistemarlo a nostre spese. Il bilancio annuale del Sermig del 1983 era di 130 milioni di lire, soldi usciti dalle nostre tasche e dalle tasche di persone buone e solidali. Soldi che usavamo per i poveri, per il Terzo Mondo, per le calamità. Gli esperti calcolavano in 10 miliardi di lire il costo della ristrutturazione dell’edificio che ci era stato assegnato il 2 agosto 1983. Ma noi non ci siamo spaventati. Nonostante fossimo tutti giovani, senza grandi mezzi e senza padrini politici, ci abbiamo creduto. Abbiamo coinvolto a poco a poco milioni e milioni di persone, siamo entrati in un’avventura senza sapere dove ci avrebbe portato.

All’inizio, non era tutto chiaro: abbiamo visto la luce man mano che lavoravamo, man mano che pregavamo, man mano che faticavamo. Con questo stile, qualcosa è avvenuto. A contatto con il prossimo abbiamo scoperto che amore non è una parola, non è un bel sorriso, è un fatto. Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore. Ma l’amore è dare da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi, accogliere lo straniero. È difficile e faticoso, ma questo è l’amore. E quando è vero, l’amore ti porta a Dio. Dio ti fa crescere lentamente sulla sua storia, Dio non impone mai nulla, dà l’esempio e allarga i tuoi sogni.
Come quella volta, durante un incontro. Un ragazzo si alza, va al microfono e mi chiede: “Tu, Olivero, stanotte dove dormi?”. Difficile rispondere, perché quando nascono le vere storie d’amore bisogna sapersi mettere nei panni del prossimo. Scopro così che tutta Torino messa insieme dava 20 posti da dormire alla povera gente, bianchi, neri, italiani, non italiani e mi chiedo: ai poveri chi ci deve pensare? Sempre l’altro o io? Una vera storia d’amore non si può chiudere nelle scuse. Avrei potuto rispondere che stavo già lavorando per i poveri lontani e non potevo prendermi altri impegni. Ma ho pensato che il mio Terzo Mondo era anche qui, a Torino.

Ero dirigente di banca, guadagnavo un signor stipendio fisso e potevo vivere come uno che se ne sbatte di tutto il resto, ma quella notte rimasi sconvolto. Dormii vicino a dei neri scoprendo che puzzano, e scoprendo che per i neri sono i bianchi a puzzare. Se non ho l’acqua, come faccio a lavarmi per non puzzare? Quella notte la mia vita è cambiata. Da quel momento, è nata una storia d’amore che dà un riparo a migliaia di persone a Torino, a San Paolo, a Madaba… Gli Arsenali oggi sono diventati monasteri metropolitani, case di spiritualità e di accoglienza sempre aperte: il nostro sogno di giovani si è realizzato in luoghi che non avremmo mai immaginato.

Ma qual è la chiave di tutto? La realtà può diventare un sogno se io obbligo la mia mente a fare bene il bene, se obbligo la mia intelligenza a capire che ogni azione è unica ed irripetibile. Mi incaponisco a cercare di fare bene il bene in ogni cosa, anche la più insignificante. I più grandi sognatori sono quelli che pragmaticamente fanno bene ogni piccola cosa e, poco alla volta, permettono alle idee grandi di entrare nella propria vita. Se non trasformiamo la realtà in sogno diventiamo persone che ruotano intorno al proprio io, ai propri comodi, e lentamente diventano secche, brutte, egoiste. Se abbiamo gli occhi puliti ci accorgiamo che le persone più belle sono quelle che fanno bene il bene, che si donano continuamente agli altri, che con gradualità cominciano a pensare poco o niente a se stesse, ricevendo in cambio il centuplo. 


Speciale – DI SOGNI E DI MERAVIGLIA 1 / 6
“Tante volte si sogna con gli occhi aperti, con la carta e la penna in mano, scrivendo, organizzando i pensieri, immaginando i passi per arrivare a concretizzare quello che non è solo un sogno, ma è una chiamata a fare del bene, ad andare incontro alla pecora smarrita, alle persone bisognose, alle popolazione che si trovano nella fame, nella guerra, nella sventura. I sogni sono belli, perché si trasformano tante volte in realtà. C’è qualche cosa in più. Diceva Helder Camara che il sogno che si sogna da solo non è altro che sogno, ma quello che sogniamo insieme è il sogno che si fa realtà. Proprio perché nell’essere condiviso con gli altri crea unione e collaborazione, porta frutto di vita e di fraternità”. (Luciano Mendes de Almeida)


Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok