Educare alla carità

Pubblicato il 09-08-2012

di Ernesto Olivero

di Ernesto Olivero - I rapporti fra nuove e vecchie generazioni al centro dell’impegno del Sermig.
Come educare i giovani alla carità è sempre stato il mio tormento, una passione confermata da intuizioni e incontri particolari, come quello con dom Helder Camara, un gigante della Chiesa brasiliana. L’8 dicembre del 1986, il vescovo dei poveri mi inviava una lettera ispirata e faceva appello alla mia immaginazione creatrice per “trovare sempre nuovi impegni per i giovani”. Undici anni dopo Madre Teresa di Calcutta rafforzava questo invito con una lettera a me indirizzata: “Penso che dobbiamo andare alla ricerca dei bambini, dei giovani, per riportarli a casa”.

Queste parole si sposano ormai da anni con l’impegno del Sermig per i giovani: i pellegrinaggi a piedi in tutta Italia per raggiungerli là dove sono, l’incontro con le storie di sofferenza legate alla droga e all’alcol, le settimane di formazione all’Arsenale della Pace di Torino, gli incontri quotidiani con le scuole, le inchieste da cui emerge la sfiducia dei ragazzi verso le istituzioni e la paura del futuro, gli Appuntamenti Mondiali Giovani della Pace…

In questi anni passati fianco a fianco con i giovani abbiamo capito che loro percepiscono se la persona che hanno di fronte è capace di amarli, con un amore magari severo ma sincero, se non li prende in giro, se non pretende più di quello che possono dare nella situazione in cui si trovano, e se sa dare loro ali per volare. Nel profondo del loro cuore, non desiderano avere accanto un genitore, un insegnante, un sacerdote, un educatore che faccia le loro stesse cose, che sia in fondo un compagno un po’ più adulto di giochi e di chiacchiere: vogliono una persona da imitare, un modello di riferimento.

I giovani cercano interlocutori capaci di comunicare a livello profondo con loro, in un rapporto strettamente personale e fedele: occorre quindi che l’adulto sappia cogliere questa esigenza di contatto non superficiale né estemporaneo e cerchi di individuare tutte le strade per realizzare un accompagnamento a tu per tu che può durare anche anni.
Tutto ciò richiede umiltà e verità. È passato il tempo in cui si cercava soprattutto di piacere ai giovani per attrarli. Chi si compiace di essere gradito concedendo tutto e lodando tutto, sbaglia: non ama affatto i giovani, cerca solo il consenso dei loro applausi, si accontenta di essere plateale.

Chi ama davvero i giovani sa essere vero e severo e qualche volta anche spiacevole, sa rimproverare e richiamare, correggere e raddrizzare. Agli adulti spetta il peso di essere guide, e guide autorevoli. Occorre che noi adulti torniamo ad accettare questo compito e a dire dei no e dei sì con fermezza e decisione. Per evitare il pericolo – individuato dallo stesso Vangelo – che ci siano dei ciechi che vogliano condurre altri ciechi... Un ragazzo che cresce è come l’acqua che scorre: se a un certo punto diventa inquinata, non è per chissà quale mistero, ma perché qualcuno ci butta degli scarichi.

Da quando l’Arsenale della Pace è diventata la nostra casa, ho sempre detto agli amici della mia Fraternità: “Se apriamo una porta è per sempre”. Questo significa accompagnare le persone alle quali apriamo la porta in un cammino che non può avere scadenze prestabilite, soprattutto quando, trattandosi di un giovane, coinvolge i tempi di crescita personale. Ma una disponibilità così richiede una fonte inesauribile.

Per noi, fin dall’inizio, la fonte è stata la certezza della presenza di Dio accanto a noi e l’esperienza continua di essere amati da lui. “Amati, amiamo” ho scritto nella nostra Regola di vita. Con la stessa tenerezza con cui Dio ci avvolge, noi avvolgiamo i nostri fratelli per aiutarli a incontrare Dio, cosicché nessuno, avvicinandoci, si senta perso. È così che i giovani della mia Fraternità poco per volta, nel rispetto dei tempi di crescita di ognuno, diventano maestri di altri che si sentono persi.

La nostra vita con Dio e a fianco dei giovani ha avuto la fortuna di incontrare veri maestri. Ne voglio ricordare due. Il primo è frère Roger Schutz (foto). In un incontro a Torino quando eravamo poco più che ragazzi ci disse: “Un pugno di giovani può cambiare il volto della sua città”. Noi ci abbiamo creduto e vorremmo che tanti e tanti giovani ed educatori ci credessero insieme con noi. L’altro grande maestro è dom Luciano Mendes de Almeida, per anni presidente della Conferenza episcopale del Brasile, per noi e tanti altri un santo. In qualunque situazione si trovasse, chiedeva: “Posso servire?”. La stessa domanda che io e la mia Fraternità desideriamo far nostra insieme ai giovani.

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