Sul cippo della storia

Pubblicato il 10-08-2012

di Rinaldo Canalis

di Rinaldo Canalis - 10 febbraio l’Italia fa memoria delle vittime delle Foibe. Alcune riflessioni in libertà sulle lezioni che la storia impartisce, per andare oltre il semplice ricordo.

Accesa la radio ho incominciato a sentire i commenti ai vari giornali oggi in edicola e gli interventi dei radioascoltatori che da ogni parte, su questo specifico argomento, dicevano la loro. Qualche anno fa per non lasciare nell’oblio i morti causati da una determinata parte politica si è inventata questa celebrazione. Molto saggio e buono. Così non perdiamo dei pezzi di storia e in qualche modo portiamo fascine al fuoco della verità che ci rende sempre più liberi.

Un radioascoltatore riferiva che avrebbe avuto piacere di inserire un’altra giornata, quella della “vergogna”. Vergogna per i massacri compiuti dai nostri militari nella seconda guerra mondiale in Slovenia e Croazia. E anche questo sarebbe giusto farlo. Ma allora perché non aggiungere le vittime che abbiamo fatto in Grecia, o sul Don? Sul Don non abbiamo sparato ai russi? Abbiamo solo patito in una soffertissima ritirata? E le vittime fatte in Etiopia e in altre parti delle colonie? E le vittime dei terrorismi degli anni di piombo? Di questo passo non finiremo più e forse non sarebbe bene finire.

Fino a pochi anni fa andavo sovente a sedermi, non lontano da casa mia, su un cippo con croce che ricordava il punto in cui Nino Torretta, Nino Monti e Sergio Ferrero, giovani partigiani, furono uccisi il 26 aprile del 1945. Seduto su quella pietra riflettevo sulla gratitudine che dovevo loro per aver speso la vita per la mia libertà. Libertà di dire quello che penso. Libertà di associarmi ad amici come voglio. Libertà di andare all’estero dove desidero. Possibilità di vivere in pace e di non dovermi vergognare della mia patria. In quei momenti mi sentivo inadeguato di fronte al loro sacrificio. Pregavo Dio per i partigiani uccisi e chiedevo perdono per me. Sono sempre andato via dal cippo con il desiderio di fare di più e meglio.

Questa mattina, sentendo il radioascoltatore del “vergognaday”, mi è venuto in mente di fare una nuova ricorrenza. La ricorrenza del “rimorso e del perdono”, due stati d’animo, due atteggiamenti per raccogliere meglio l’eredità che i partigiani ci hanno lasciato, perché la vergogna non scivoli sulla nostra pelle come una “finta” e non ci lasci codardi come prima, come una mano di bianco, per rifarci. Guardando la storia, ci può essere una grande opportunità di rimorso per non aver fatto tutto quanto era in nostro potere per evitare eccidi e storture ideologiche.

Ho vissuto gli anni del terrorismo: se non avessi contribuito a sostenere una cooperativa che permetteva ad alcuni ex brigatisti di reinserirsi nel tessuto sociale, forse mi mancherebbe un pezzo di perdono. Si potrebbero anche qui ricordare tutti i morti per fame del mondo che passano sui nostri schermi televisivi, senza toccarci minimamente. Più semplicemente potrebbe starci un po’ di rimorso per non aver tolto la neve un po’ più in là della nostra porta, per aumentare con l’occasione la nostra partecipazione attiva al miglioramento del bene comune.

Noi italiani, abbiamo bisogno di meno giustificazioni e molte più “reprimende” che possiamo e dobbiamo darci serenamente noi. Siamo un popolo di indignati che all’occorrenza non prende una pala in mano, forse perché non sa più guardare oltre il suo orticello. È tempo di andarci a sedere sui cippi della storia che è passata vicino a noi.

Ora sul cippo dei partigiani c’è la neve. C’è la neve dell’indignazione troppo frequente per le cose che gli altri hanno fatto male. Ci sono la neve ed il freddo delle parole vuote, senza carità. Ma sappiamo che il sole arriverà e scioglierà. Così può essere per noi tutti. E allora propongo che il giorno del rimorso e del perdono si celebri il 21 marzo, quando il giorno incomincia a diventare più lungo della notte, il giorno in cui un tempo si ricordava san Benedetto, un santo che si era messo con le sue mani a costruire un’Europa nuova.

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