Un oceano sarà pacifico?

Pubblicato il 14-08-2012

di sandro

di Sandro Calvani - Cooperazione economica e dialogo per le popolazioni delle isole disseminate nelle acque più estese del pianeta. L’oceano Pacifico è il più grande al mondo: con oltre 155 milioni di chilometri quadrati copre quasi il 30% della superficie della Terra, equivalente all’area totale delle terre emerse. Un oceano grande dunque 500 volte l’Italia che contiene il 45% di tutta l’acqua del mondo. Nelle oltre 30.000 isole e 25 nazioni del Pacifico vivono oltre 30 milioni di persone, che sono forse anche i popoli più sconosciuti. Il loro isolamento a migliaia di miglia marine di distanza dai continenti ha fatto nascere e mantenuto centinaia di lingue diverse, di patrimoni genetici di fauna e di flora che non si trovano in altre parti del mondo. Il Pacifico come regione, sommando anche le popolazioni dei Paesi che hanno coste sull’oceano Pacifico, è l’area più popolata al mondo con circa il 40 % della popolazione totale del Pianeta, il 54% del Prodotto Nazionale Lordo del mondo e 44% dei commerci internazionali.

In centinaia di isole abitate le risorse naturali limitatissime causano difficoltà di convivenza pacifica tra i tanti Stati, staterelli, e grandi Nazioni vicine coinvolte nei vari mini-conflitti nelle tre regioni principali (da Ovest verso Est), Melanesia, Micronesia e Polinesia. La Melanesia comprende la Nuova Guinea (la più grande isola del Pacifico, divisa tra Papua Nuova Guinea e le province indonesiane di Maluku, Papua e Papua Occidentale), la Nuova Caledonia, Torres, Vanuatu, Fiji e Salomon. La Micronesia comprende le Marianne, Guam, Wake Island, Palau, Marshall, Kiribati, Nauru, e gli Stati Federati di Micronesia. La Polinesia comprende la Nuova Zelanda, le Hawaii, Rotuma, Midway, le Samoa, Tonga, Tuvalu, le Cook, Wallis e Futuna, Tokelau, Niue, Polinesia francese, e Pasqua. Più vicine alle coste Americane vi sono Gomez, Fernandes, S.Ambrosio, e le Galapagos. In Occidente, dove l’oceano Atlantico è considerato il fulcro della storia e dell’economia moderna del mondo, l’altro oceano in Estremo Oriente è percepito come una realtà quasi extra-terrestre, una specie di buco nero sul Pianeta, di cui si sa praticamente nulla. Basta notare il commento più comune tra i turisti occidentali che visitano l’Australia: “Bellissima ma così’ lontana dal mondo”; oppure l’espressione inglese Down Under che significa laggiù, un altro modo per stabilire che l’Occidente è il centro del mondo e l’Estremo Oriente è la periferia.

Nemmeno l’elezione del Presidente Barack Obama, nato ad Honululu, ha generato molto interesse sulla realtà geografica e politico-economica dell’arcipelago delle Hawaii. Le Hawaii sono il 50° Stato degli Stati Uniti, si compongono di 167 isole sparse su una distanza di oltre 2500 chilometri; vi abitano oltre un milione e mezzo di americani. Negli Stati Uniti sono considerate the most western State, lo Stato più occidentale della Federazione, anche se a pensarci bene, essendo molto vicine alla linea internazionale di cambio data (il 150º meridiano) si potrebbero anche considerare lo Stato più orientale degli Stati Uniti. Nelle acque di Hawaii basta navigare una mezz’oretta verso Ovest e si passa al giorno seguente del calendario. Le Hawaii non sono però l’arcipelago più importante. Nell’emisfero Sud del Pacifico Fiji è una nazione indipendente divisa in 840 isole ed isolette; le isole Spratly fanno invece parte di tre grandi arcipelaghi nella parte occidentale dell’Oceano Pacifico, chiamata Mar Cinese meridionale che comprende migliaia di isole con una geografia politica complessa e vivaci contese territoriali tra sei Paesi costieri. 45 delle isole Spratly strategicamente più importanti sono occupate militarmente dalle forze armate di Taiwan, Cina, Vietnam, Filippine, Malesia e Brunei.

L’importanza strategica di ognuna di quelle isole non è certo il territorio, ma piuttosto la cosiddetta EEZ, cioè la zona di interesse economico esclusivo che ogni Paese può esercitare attorno ad un’isola, in base al Diritto Internazionale degli Oceani. Oltre alla enormi risorse di pesca, vi sono le prospettive di estrazione di petrolio e gas naturale. Per questo il conflitto più o meno latente delle Spratly è solo uno dei circa 20 conflitti localizzati nell’Oceano Pacifico. Tra i conflitti interni più recenti quelli di Fiji e di Salomon sono stati causati da forti interessi sul controllo delle loro preziose risorse naturali. Tra i conflitti internazionali, a parte le ragioni storiche della contrapposizione antica tra Taiwan e Cina e tra le due Coree, sono soprattutto ragioni economiche a generare la gran voglia di piantare una bandiera su qualunque isoletta che rimane asciutta anche durante l’alta marea. I mini-conflitti latenti o palesi sono a volte tele-guidati dalle capitali di grandi potenze economiche. È il caso ad esempio del conflitto tra Giappone e Russia sulle isole Kurili. Il Giappone le chiama Chishima Rettō, oppure Territorio Settentrionale, definizione che non lascia dubbi sulla sua opinione circa la sovranità di quelle isole. L’arcipelago di origine vulcanica delle Kurili si estende per circa 1.300 km (810 miglia marine) a nord-est di Hokkaido, in Giappone, e sud-ovest della penisola russa di Kamchatka, che separa il Mare di Okhotsk dal Pacifico settentrionale.

Ci sono 56 isole e molte altre isolette, tutte in fila a creare un ponte ideale che unisce la Russia al Giappone. La superficie totale è di circa 16 mila chilometri quadrati e la popolazione totale circa 19.000 persone. La Russia amministra le Kurili e vi mantiene una presenza militare, fatti che sono il risultato di una continua espansione della Russia nel secolo scorso che ha progressivamente assunto il controllo di un numero crescente di isole, fino a escludere completamente la presenza giapponese. Il Giappone continua ad affermare il suo diritto di sovranità su almeno alcune delle Kurili più sud-occidentali. Basterebbe che anche poche isole fossero riconosciute giapponesi ed automaticamente il Diritto internazionale degli Oceani permetterebbe al Giappone di affermare il suo diritto di sfruttamento marino esclusivo di un’area di migliaia di miglia quadrate. Nel Mare delle Filippine è invece il Giappone ad amministrare – nonostante le proteste della Cina – il minuscolo atollo di Okinotoroshima che si trova a 1740 chilometri da Tokyo ed è considerato il territorio più meridionale del Giappone. Amministrativamente quelle cinque rocce, raramente visibili tra le onde, fanno parte del villaggio di Ogasawara presso Tokyo.

Il Governo giapponese pretende lo sfruttamento economico esclusivo di ben 400.000 miglia quadrate di area marina attorno a quelle rocce. Una rete di titanio e cemento costata 600 milioni di dollari, costruita per impedire l’erosione, unisce le rocce a formare una piattaforma con un diametro di 60 metri che emerge 40 centimetri dal mare. Vi è stato installato un radar, un faro e un eliporto. Suscitano dunque giuste speranze le iniziative di integrazione economica dell’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) e del Pacific Forum per far dialogare tutti i popoli di questo oceano sconfinato ed aiutarli a trovare nelle consultazioni e nella collaborazione le rotte necessarie per rendere presto il nome del loro oceano più consono alla realtà.

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok