INDIA: resistere alle intimidazioni

Pubblicato il 06-09-2011

di Mauro Palombo

 

Una breve riflessione sulle violenze a danno dei cristiani indiani di padre Yesumarian Lyma, l’amico dalit con il quale il Sermig porta avanti la ricostruzione post-tsunami.

di Mauro Palombo


La Chiesa in India è una comunità relativamente piccola, il 2-3% della popolazione di quel grande subcontinente.
Comunità piccola ma vivace, giovane, dinamica.
Il suo principale spazio di incontro e di proposta di valori e di fede, è quello delle famiglie, della scuola e del sostegno agli studenti. Il suo coinvolgimento e impegno è soprattutto verso le persone appartenenti alle categorie sociali di livello più basso ed escluse dalla società vera e propria: Dalit e tribali, ossia gli esclusi dal sistema delle caste, profondamente radicato nella cultura oltre ancora alla religione. Un quinto della intera popolazione, che vive in una dimensione subumana, da cui non possono in alcun modo affrancarsi nel corso dell'intera loro vita. Uomini e donne relegati in uno status di completa inferiorità, funzionale anche agli interessi di poterli utilizzare come manodopera a condizioni infime, per le mansioni più basse e degradanti.

Oggi l’80% dei cristiani sono Dalit. Il messaggio del Vangelo li ha raggiunti ed ha attratto questi poveri. È un messaggio per gli intoccabili dell’India: li umanizza, dà loro la dignità di esseri umani.
Il messaggio cristiano chiede di rinunciare alle caste, abbandonando ogni atteggiamento di egemonia nei confronti di altre persone.
La teologia della Croce è teologia dei Dalit. Gesù, anche sulla croce, sofferente e abbandonato, conserva la fede nel Padre, la fede di essere risorto, gli affida la sua anima. E questo dono è la speranza dei Dalit.

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In questo scenario va letta la situazione di persecuzione e violenza che i cattolici subiscono da alcuni mesi nello Stato dell’Orissa – India centro Orientale - e dell'Andhra Pradesh – India centro occidentale - con omicidi, veri e propri pogrom nei villaggi, e distruzione di chiese e case religiose.
L’elemento scatenante è stato l’assassinio – da parte di altri gruppi estremisti, ma di cui sono incolpati i cristiani - di un leader nazionalista indù, e la violenza è ufficialmente una reazione alle conversioni al cristianesimo avvenute col tempo in alcune aree.

Ma, anche in questi Stati, tra i più poveri ed arretrati dell'India, i cristiani sono quasi interamente Dalit e tribali. La conversione fa addirittura loro perdere quei minimi benefici, riservati ai Dalit indù, attribuiti dalle leggi che riservano posti nelle scuole e altro a favore delle categorie sociali più svantaggiate. Ma questa nuova dimensione, determina anche cambiamenti nell’atteggiamento di queste comunità, sempre più propense a cercare di crescere nelle loro capacità, e di trovare vie di uscita dalla loro situazione; e ciò preoccupa e spaventa chi, nei villaggi dove il cambiamento si manifesta, ha tratto finora vantaggio di manodopera a prezzo di miseria. E non esita a ricorrere in maniera ora più sistematica alla violenza che, nell'indifferenza delle autorità, sempre ha sancito la prevaricazione.
Ma la vocazione cristiana, anche provata dalla violenza, resta quella di proclamare la speranza del Vangelo, e darle vita nel coinvolgimento e nell'impegno.

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Il Sermig in questi anni ha sostenuto, tra gli altri, un importante progetto per la ricostruzione del villaggio di Rajanagar, distrutto nel 2005 dallo Tsunami. Il villaggio sarà abitato da un centinaio di famiglie Dalit, inteso quindi anche come un segno concreto della volontà e della possibilità di cambiare il destino di alcuni di loro, offrendo opportunità per costruire una vita di dignità e autonomia.
I lavori sono ora completati, ma il responsabile del progetto, il nostro amico Padre Yesumarian Lyma, responsabile nel Tamil Nadu del Centro per i Diritti Umani dei Dalit, è stato vittima di intimidazioni e poi di una pesante aggressione da parte di delinquenti locali che mirano ad ottenere diritti ingiustificati su alcune abitazioni e terreni.

La polizia tarda ad intervenire, e le famiglie dei beneficiari del progetto ancora non possono entrare nelle case costruite per loro.
La ricerca di una soluzione non è semplice né veloce. Ma si porta avanti tanto attraverso l’azione legale, che attraverso il dialogo con la comunità locale; per comprendere insieme il valore del progetto, che offre prospettive nuove non solo per le famiglie che lo abiteranno ma anche per i diversi villaggi della zona con cui nuove iniziative potranno prendere vita.

Queste e altre situazioni, chiedono l’aiuto di tutti i cristiani attraverso la preghiera e attuando il 'farsi prossimo' nelle opere di giustizia anche verso questi fratelli più poveri, che diventano un segno e cammino concreto di vera pace per tutte le comunità.

Mauro Palombo


Vedi anche l'intervista a padre Yesumarian Lyma:
India: intoccabile!

 

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