Il mondo a tavola - La sfida del Sermig

Pubblicato il 05-02-2015

di Redazione Sermig

Venti ragazzi seduti ad una tavola imbandita; di fronte a loro, circa duecento ragazzi seduti per terra. Al tavolo, ogni ragazzo ha una zuppiera colma, con il riso che quasi trabocca; nel piatto degli altri, vi è un cucchiaio scarso di riso.

Un evento molto particolare è questo, organizzato a Torino dal Sermig, Servizio Missionario Giovani, fondazione nata nel 1964 dal sogno del giovane Ernesto Olivero: sconfiggere la fame nel mondo. Nato come gruppo missionario, oggi il Sermig è una fraternità cattolica composta da giovani, coppie di sposi e famiglie, monaci e monache che si dedicano a tempo pieno al servizio dei poveri, operando in molte zone del mondo. L’impegno della fraternità è rivolto in particolar modo anche alla formazione dei giovani, in quanto fondamenta della società di domani.

Ecco dunque il senso di quest’evento, che rappresenta il fulcro dei campi di formazione estivi organizzati dal Sermig per i giovani: riunire simbolicamente tutta la popolazione mondiale per cena, distribuendo ai ragazzi delle finte carte d’identità che, per una serata, li tramutano in un’altra persona nata in un’altra zona del mondo. Lo scenario per questi ragazzi è ben diverso da quello di casa, seduti a tavola, magari con la tv accesa, senza accorgersi di cosa c’è nel piatto. È stata assegnata loro un’altra personalità che non hanno potuto scegliere, come non si sceglie di nascere in un posto del mondo piuttosto che in un altro e, in base alle ricchezze possedute dal personaggio che ognuno di loro deve interpretare, sono stati divisi: i “ricchi” sono stati fatti sedere ad un tavolo imbandito e i “poveri” per terra.

Prima dell’inizio della cena, vengono proiettati su uno schermo i dati dell’Onu riguardo alla popolazione mondiale: ogni giorno muoiono circa 100.000 persone per fame; su una popolazione totale di 7 miliardi di persone, 800 milioni soffrono la fame.

Successivamente si inizia a mangiare. I ragazzi sono lasciati liberi di fare ciò che ritengono giusto: c’è chi dal tavolo offre cibo a chi non ne ha, chi tra i “poveri” attende un aiuto rimanendo seduto per terra; ma molti di più sono quelli che si alzano per elemosinare, se non rubare, dal tavolo imbandito, mentre i “ricchi” difendono il proprio cibo per paura che non ne rimanga per loro, finché alla fine non lo buttano, anche se per finta, perché non ne hanno più voglia.

Ci si potrebbe stupire di questi comportamenti che portano alla luce istinti quasi animali, ma invece il Sermig utilizza questa cena particolare, chiamata “cena dei popoli”, come ricostruzione a livello microscopico non solo della distribuzione mondiale del cibo e delle ricchezze, ma anche dei comportamenti della società. “Se il cibo è una merce non importa se lo sprechiamo. In una società consumistica tutto si butta e tutto si può sostituire, anzi, si deve sostituire”*. Questa considerazione di Carlo Petrini sembra identificare a pieno l’insegnamento che la società occidentale trasmette alle nuove generazioni sul cibo. Il vasto e variegato mercato alimentare affianca il cibo salutare al cosiddetto “junk food” e molti ormai non sono più in grado di distinguere l’uno dall’altro. Dunque, se si chiama “cibo spazzatura”, che problema c’è a buttarlo?

Alla cena segue un momento in cui i ragazzi hanno l’occasione di condividere le loro considerazioni e emozioni su ciò che hanno appena vissuto. Emerge immediatamente il sentimento provato nel vedere che parte del cibo veniva buttato: se nella vita di tutti i giorni buttare il cibo avanzato appare normale, farlo di fronte a delle persone che non ne hanno, è ingiusto ed egoista. La scena è simile a quella del padrone che si abbuffa di fronte ai propri schiavi affamati, indifferente alla loro sofferenza, che Seneca descrisse in una delle Epistulae ad Lucilium. Ma questa situazione -ed è su questo che i membri del Sermig vogliono puntare l’attenzione- si ripete ogni giorno, perché mentre i ragazzi che hanno partecipato alla “cena dei popoli” possono mangiare ogni giorno e buttare tutto il cibo che vogliono, ci sono persone che soffrono la fame nei paesi del cosiddetto Sud del mondo e non solo lì: anche le strade delle città italiane sono ormai piene di mendicanti e senzatetto, che si trovano a un passo, praticamente di fronte a chi ha la possibilità di mangiare nella propria casa, come durante la cena di fronte ai ragazzi seduti al tavolo imbandito ce ne erano molti lasciati senza abbastanza cibo.

Dunque, la fame e la sofferenza non sono solo sullo schermo del televisore nei telegiornali e non serve puntare il dito in alto e prendersela con le istituzioni aspettando che siano gli altri ad agire: “è meglio puntare il dito su noi stessi”** scrive Ernesto Olivero nella sua Lettera alla coscienza.

Il fine della cena dei popoli è proprio far capire questo ai giovani: in un mondo in cui regna la “globalizzazione dell’indifferenza”, secondo le parole di papa Francesco, ognuno deve risvegliare la propria coscienza, cominciare a commuoversi di fronte alla sofferenza nel mondo, che è diventata parte della quotidianità nelle notizie che giungono attraverso i media, e a quel punto, sostituendosi all’indifferenza, “lo stupore busserà alle porte della storia”**.

*Carlo Petrini in Petrini-Rifkin. Il nuovo patto per la natura, “la Repubblica” – 9 giugno 2010
**Ernesto Olivero, Lettera alla Coscienza, 4 ottobre 2014

Ginevra Lalle

 

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