La forza del bene
Pubblicato il 19-04-2023
Guerre, disastri climatici, pandemie: la fine del mondo o il fine del mondo? Soprattutto, che ruolo può giocare la fede e chi crede nel bene in uno scenario così complesso? Ne abbiamo parlato con Adrien Candiard, frate domenicano francese, autore di spiritualità tra i più letti in Europa, nell’incontro organizzato dall’Università del Dialogo del Sermig. Un confronto a tutto campo che ha preso le mosse dal suo ultimo libro, “Qualche parola prima dell’Apocalisse” (Libreria Editrice Vaticana). Fra Adrien, 39 anni, un passato in politica, studioso di Islam all’Istituto domenicano di studi orientali del Cairo dove risiede da anni, ha allargato anche il ragionamento riguardo il contributo che le religioni possono dare alla pace. In attesa dell’ampio resoconto della serata di prossima pubblicazione su numero di maggio del mensile NP Nuovo Progetto, ecco alcuni spunti.
La parola apocalisse significa rivelazione e appartiene ad un genere letterario che cerca di rivelare il senso della storia. Non è però il calendario della fine del mondo! Molte generazioni hanno cercato una corrispondenza tra il loro tempo e la fine del mondo, ma hanno sempre sbagliato. Quindi lasciamo perdere la data e interroghiamoci sul senso della storia. Molti cristiani non conoscono questi contenuti, altri saltano certe pagine perché non si accordano alla nostra sensibilità odierna, ma vale la pena di riprenderle. Non perché siamo arrivati alla fine del mondo, ma perché possiamo cogliere in esse il significato di quanto stiamo vivendo. Qual è il senso delle pandemie, della minaccia nucleare, del cambiamento climatico? Esse non vogliono mandare messaggi di disperazione e tristezza, ma speranza e luce per orientarsi nel cammino della vita.
Il vangelo ci dice che il messaggio di amore di Dio può essere accolto e dare quindi frutto attraverso una maggiore solidarietà e vicinanza al prossimo, o può essere rifiutato, e portare quindi violenza. Gesù ha vissuto queste due dimensioni contraddittorie insieme, ed è stato messo in croce per il suo messaggio d’amore. La storia è accettare o rifiutare l’amore di Dio, con la libertà l’uomo ha la possibilità dell’accettazione e del rifiuto. Perché l’amore ha strutturalmente bisogno della libertà. Quindi siccome Dio ama e ci chiama all’amore accetta che ci sia la possibilità del rifiuto.
Spesso abbiamo una comprensione infantile del peccato che ci impedisce di capire la realtà. Il cambiamento climatico e la minaccia nucleare sono l’apice di un moto dell’uomo che desidera dominare a tutti i costi, di possedere e consumare oltre i propri bisogni. Questo è peccato. Poi dobbiamo cominciare a ripensare il peccato non solo in chiave personale. Il male danneggia il mondo, l’intera umanità. Il male fa il male, non è banale dirlo. Dio vieta ciò che distrugge. Dobbiamo prendere il male sul serio, e la sua radice è il rifiuto di essere amato. È faticoso accettare di essere amati, ma il rifiuto di essere amati provoca violenza, rabbia, sfiducia e volontà di dominio.
Io vivo da anni a Il Cairo, in Egitto, e ho capito che per costruire il dialogo bisogna accettare che siamo diversi. È veramente difficile perché abbiamo sempre la convinzione che gli altri la pensano esattamente come me. Finché non accetto l’alterità, non c’è dialogo. Fatalmente proietto me stesso nell’altro. È interessante non mettere in luce le somiglianze, ma capire perché siamo diversi. In secondo luogo, per avere un dialogo vero, ci vuole un’autentica amicizia personale, fondata sulla fiducia reciproca. È possibile il dialogo con l’islam? No, perché islam non è una persona. È possibile il dialogo con i musulmani. Tra persone si può dialogare in spirito di amicizia. Il dialogo mette a nudo e mostra la propria debolezza che solo un amico può custodire e accogliere.
Io ho smesso di impegnarmi in politica presto, a 23 anni. La politica è un modo concreto per aiutare le persone, può essere una delle più ampie espressioni dell’amore, come ricordava Paolo VI, ma nel mio caso stavo meglio parlando di Dio. Per me è un’occasione di santità: al liceo ho capito che la gente mi ascoltava e mi dava fiducia, e per questo ora vorrei essere un tramite perché le persone possano incontrare Gesù.
Per me contemplare significa vedere la grazia di Dio operante nella vita delle persone. Per me questo significa amare il prossimo. Io non posso portare Dio nelle persone, perché Dio è già presente. Posso aiutare gli altri, mettendomi al servizio del dialogo tra Dio e il mondo. La sfida è fare spazio all’altro, rispettandolo pienamente.
Redazione Università del Dialogo