La sequenza dello Spirito Santo
Pubblicato il 12-09-2020
Logica e speranza di una supplica: la sequenza allo Spirito Santo è un tesoro della Chiesa. La riflessione che viene proposta parte dall’analisi di unità tematiche raggruppando le parole in sette blocchi.
di Giuseppe Pollano
Gruppo 1 Le prime tre parole della sequenza portano ad una chiamata. Per capire a chi ci rivolgiamo è utile rileggere la possente scena della distesa di ossa che, toccate dallo Spirito, ritornano ad essere persone vive (Ez 37,1-10). È importante allenare il cuore a dire “vieni” dando a questa parola il senso che Dio si aspetta. Se non parte dal cuore non racchiude il vero desiderio che l’altro venga. Il cristiano, di fronte allo spettacolo del mondo, si porta sempre dentro il mormorio “vieni Signore, vieni Spirito” ed instaura così un rapporto vivo con Dio con questa chiamata insistente. Gruppo 2 Ebbene Dio, che non fa tante complicazioni, mi conosce, sa come sono, mi ama: sono proprio la persona che cerca di incontrare, perché è venuto per i malati, per i peccatori. È bello che ci consoli il nostro Dio capace di rimediare alle conseguenze dei nostri peccati. Sottolineo questo realismo di Dio, perché quando ci accorgiamo delle nostre debolezze siamo portati a rattristarci, a ripiegarci su di noi, a sentirci avviliti, a vergognarci di guardare Dio. Al di là di ogni scoraggiamento, ci prendiamo come siamo, con le nostre preghiere aride da cui non viene fuori niente. Non dobbiamo spaventarci di offrire questo niente che siamo a Dio, perché Dio ci ama anche se siamo aridi. Gruppo 3 Noi invece dobbiamo guardarci attorno con molto realismo, se è vero che, senza la forza di Dio, nulla è l'uomo. Non ci scandalizzeremo di come l'altro è; non lo condanneremo mai troppo in fretta, non lo giudicheremo, ci ricorderemo che siamo fatti tutti della stessa pasta, compresi i santi: l'argilla è sempre quella. Senza lo Spirito siamo tutti povera gente e quindi ci dobbiamo amare con umiltà, con vero senso fraterno, con quello splendido sentimento di Dio che è la compassione. Gesù, che ha compatito ed è scoppiato in lacrime dinanzi alle miserie umane, ci aiuta a colmare il cuore della sua compassione, che non è debolezza, ma che lotta per il bene, aiuta la coscienze, sa compatire. Gruppo 4 Gruppo 5 Padre dei poveri. Chi pretende di cavarsela da solo, chi non ha bisogno che Dio gli sia padre, vive da orfano. Circondato da adulti, saccenti sicuri di sé, che l'hanno messo in croce, e di fronte ai cui occhi è risorto, Gesù ha esaltato questa piccolezza, questo bisogno del Padre. Allora non bisogna avvilirsi quando si ha peccato, nascondersi nella vergogna che è rimorso ma non pentimento, rassegnarsi ai propri peccati, qualunque essi siano. Se ci rivolgiamo a Dio, ci farà ricchi: “Dio ha posto tutti nella disobbedienza, per poter usare a tutti misericordia” (Rm 11,32). Datore dei doni. Il cristianesimo non viaggia sui contratti tra noi e Dio, ma semplicemente sulla sua generosità. Io non ho fatto niente perché sono arido, rigido e sviato, ma ti guardo e dico “Abbi pietà di me”. E il dono viene. Datore dei doni è la professione di Dio. Per noi un regalo è pur sempre un'eccezione, invece lui è soltanto un donatore. Consolatore perfetto. Specie per i giovani la domanda “che senso ha vivere, vale la pena esserci o non esserci?” è sempre più problematica. Si cerca una risposta, ma si trova che tutto è palude, mestizia. Si rimane sconsolati. Allora bisogna fidarsi di Dio, non pensare che la sua consolazione sia quella mistica e religiosa e basta. Dio dà la consolazione di cui si ha bisogno. Un'amicizia vera, un prato fiorito a primavera sono consolazioni che vengono da Dio. Si tratta di cogliere il bello e il buono dell'esistenza, non lasciandosi intristire da quel velo di malinconia che fa diventare tutto grigio: il mondo non è in bianco e nero, è pieno di colori. Da consolati si diventa consolatori, e tutto diventa molto più bello. Quello che era e, senza l'aiuto di Dio, continuerebbe ad essere sordido, arido, rigido, riesce invece, con il dono di Dio, a portare frutti positivi di vita. |
Ospite dolce dell’anima. È l'aggettivo dolce che qualifica la presenza: si sta bene con te nell'anima, mio Dio. Che Dio sia nell'anima lo dice la Bibbia: “Tu sei tempio dello Spirito”, però può essere una realtà talmente muta, sorda e cieca che è come non ci fosse. “Si sta bene con te nel cuore, mio Dio”: come è bello quando si riesce a tirar fuori dalla propria esperienza una frase così, è una delle scoperte più grandi di quello che c'è in noi, la perla preziosa, il tesoro nascosto. Anche perché con Dio nell'anima si ha il maestro che ci guida. Noi dobbiamo avere un direttore spirituale, una guida, un amico, un confessore, ma il maestro è in noi: solo lui c'è sempre, e ci dice cosa fare e come essere in ogni momento. Beato chi ha imparato ad essere diretto dal di dentro, dal Gesù che illumina la coscienza. Paolo direbbe che si è guidati dallo Spirito. |
Gruppo 6 Riposo, riparo, e conforto. Come faremmo ad accorgerci che Dio ci è riposo, se non conosciamo la fatica, come faremmo ad accorgerci che ci conforta se non conosciamo il pianto? Non dobbiamo spaventarci quando conosciamo la fatica e il pianto. La nostra inclinazione naturale è di vivere una vita tranquilla, non siamo fatti per piangere, e vorremmo che tutta la giornata andasse bene. Ma quando poi arriva la fatica e qualche volta il pianto, spesso restiamo spiazzati come se fossero cose che non dovevano capitare, ci restiamo male insomma. E siamo tentati di mettere sotto accusa Dio perché questa situazione doveva impedirla, di non aver più fiducia in lui, di perdere la fede. L'ateismo da protesta, come si chiama tecnicamente, non è una cosa tanto rara; l'ateismo non è soprattutto mentale, è quasi sempre una rivolta del cuore. Allora, nella fatica e nel pianto, se sono ancora un po’ saggio, volgo uno sguardo in alto, e mi accorgo che Tu sei capace di essere per me riposo e conforto. Beati quelli che piangono. Fatica, pianto, riposo e conforto, sono parole da non dimenticare, perché sono fra le più preziose della vita, una specie di pronto soccorso quando la vita ci sorprende. Colui che è riposo e conforto non è in farmacia o in qualche ospedale. Si trova dentro di noi, è ospite e interviene quando gli chiediamo cosa fare. Gruppo 7 Invadi il cuore dei tuoi fedeli. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni. La sequenza è in salita, cioè arriva ai doni dello Spirito che costituiscono la nostra nuova personalità. Il Nuovo Catechismo (n. 1830) ci ricorda che i sette doni dello Spirito sono disposizioni permanenti che rendono l’uomo docile a seguire le mozioni dello Spirito Santo. Appartengono nella loro pienezza a Gesù Cristo. Essi completano e portano alla perfezione le virtù di coloro che li ricevono. I doni dello Spirito fanno sì che si abbia quel qualcosa in più che aiuta gli altri a vivere. È un altro degli aspetti dello Spirito Santo. Sovente ci lasciamo travolgere dalle nostre passioni umane, ma se abbiamo lavorato con un po’ di stile, la nostra personalità non è questa, è quella che viene dai doni dello Spirito, anche se avrà ancora i suoi limiti, i suoi difetti; è inconfondibile. Si è diventati creature spirituali, persone in cui lo Spirito vive. Non sto parlando di eccezioni, di campioni, sto parlando del popolo di Dio, così com'è o come dovrebbe essere. Il titolo del cap. 5 della Lumen Gentium è straordinario: “La santità come chiamata di tutto il popolo cristiano”. Tutti siamo chiamati a cercare di vivere la santità., perché il mondo ha bisogno di testimoni, non di teologi. Ha bisogno di gente plasmata dallo Spirito, incontrando la quale lo Spirito può lanciare un messaggio, una freccia. Ecco, essere testimone è questo. Sono sicuro che ciascuno di voi sia un testimone, nel poco e nel tanto. |
di Mons. Giuseppe Pollano
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