Riflessioni a cura del Sermig

L’IMPEGNO PER LA PACE
Oggi parlare di pace è difficile. Inutile nascondercelo. Abbiamo davanti a noi scene di guerra, viviamo in un’epoca di corsa al riarmo a tutti i livelli, un’epoca di profonde divisioni. Chi crede nella pace, agli occhi di molti, sembra un ingenuo, uno che si lascia guidare da buoni sentimenti e da ricette facili. Ma non è così. Anzi, è l’esatto contrario.
Proprio nei momenti più difficili, chi crede in una profezia deve sentire la responsabilità di proclamarla con ancora più passione. Non dobbiamo fermarci a un presente apparentemente senza speranza, ma immaginare oltre, sognare e impegnarci per costruire ciò che ancora non è. Chi rimane fermo all’oggi rischia di fermarsi al dito e di non vedere la luna; chi invece guarda oltre non perde tempo ad alimentare utopie, ma intuisce la forza e la bellezza delle profezie.

LA PROFEZIA DI ISAIA
È stato Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, a farci innamorare della profezia di Isaia, le parole che annunciano un tempo in cui le armi non saranno più costruite e i popoli non si eserciteranno più nell’arte della guerra. Partendo da questa visione, abbiamo capito che la pace non è solo uno slogan da gridare nelle piazze o nei cortei, né una parola su cui dividersi o su cui costruire false ideologie.
La pace, come la speranza e l’amore, è un fatto concreto, è una scelta di vita che parte da ognuno, è l’impegno radicale a lottare contro ogni ingiustizia. È un cammino di armonia con se stessi, con gli altri, con la natura. Per chi crede, è anche dono di Dio, promessa di un mondo in cui tutti abbiano piena cittadinanza e piena dignità. Significa comprendere che il bene che posso fare io non lo può fare nessun altro, perché è la parte di bene che tocca a me: è la mia responsabilità, da vivere prima di tutto nella mia vita, dal momento che possiamo essere pacificatori solo se interiormente pacificati e disarmati. Benigno Zaccagnini diceva che «le armi non sparano da sole; sono solo uno strumento, ma è dal cuore dell’uomo che nasce la guerra ed è nel cuore dell’uomo che si semina la pace».

MAI PIÙ GUERRA!
Questo bene lo abbiamo visto all’opera tantissime volte, a cominciare dai primi anni di riconversione dei ruderi dell’arsenale militare, con milioni di giovani e adulti che hanno restituito tempo, risorse e capacità. In oltre 60 anni di storia, abbiamo accolto centinaia di migliaia di persone, promosso progetti di sviluppo in decine di Paesi, realizzato 77 missioni di pace in contesti di guerra. Per noi, l’Arsenale è stato il luogo concreto per realizzare già ora la profezia di Isaia e mostrare alla società che la bontà è davvero disarmante, che è possibile convertirsi e convertire, impegnarsi perché siano promossi trattati di disarmo e le armi non siano più costruite, soprattutto in un contesto in cui la tecnologia apre orizzonti sconfinati e pericolosi, come dimostrano i rischi legati alle armi nucleari e all’uso distorto della cybersecurity o dell’intelligenza artificiale.
La guerra è folle perché uccide, produce odio, divisioni, ferite personali da rimarginare, vendette, anche quando le armi tacciono e la diplomazia riafferma a parole il valore della pace. La guerra uccide innanzitutto la verità, riduce la ricchezza dell’umano ai ruoli di vittime e carnefici, impedisce per tempi lunghissimi la possibilità di andare oltre. La guerra ruba la compassione, paralizza e divide le memorie, perpetua l’odio in una sorta di zona grigia che sposta i campi di battaglia direttamente nel cuore delle persone.
LA FORZA DEL DIRITTO E NON LA LEGGE DEL PIÙ FORTE
La pace indicata da Isaia e la negazione di ogni guerra sono state, sono e saranno le nostre bussole. Lo abbiamo sempre affermato in ogni passata occasione di conflitto, non tanto con le parole, ma attraverso testimonianze credibili di carità e scelte di vita donata per i più poveri. Se il punto di arrivo della pace è chiaro, non possiamo non considerare il cammino umano che porta alla meta. Per un credente e per ogni uomo di buona volontà, quel cammino si identifica nella storia, nel confronto con un’umanità caratterizzata da fedi, culture e credenze differenti, in un mondo che va vissuto così com’è, nella realtà che bussa alla porta e che non possiamo ignorare. Con il sogno di Isaia nel cuore siamo chiamati a metterci in dialogo, trovare tappe intermedie perché nel cuore di ogni persona nasca il desiderio di pace e si trovino soluzioni che, passo dopo passo, possano progressivamente disarmare prima le coscienze di ciascuno, poi i popoli della Terra.
«La pace non si impone automaticamente, da sola, ma è frutto della volontà degli uomini. Viviamo oggi, nuovamente, l’incubo – inatteso perché imprevedibile – della guerra nel nostro Continente. Si pratica e si vorrebbe imporre l’arretramento della storia all’epoca delle politiche di potenza, della sopraffazione degli uni sugli altri, della contrapposizione di un popolo – mascherato, talvolta, sotto l’espressione “interesse nazionale” – contro un altro. Imperialismo e neocolonialismo non hanno più diritto di esistere nel terzo millennio, quali che siano le sembianze dietro le quali si camuffano» (Sergio Mattarella all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo). Le vicende degli ultimi anni, l’aggressione russa all’Ucraina e i tanti conflitti nel mondo spesso dimenticati, ci hanno messo di fronte a una situazione inedita: la messa in discussione del sistema di regole nato dalla visione del “mai più” dopo i cinquanta milioni di morti della Seconda guerra mondiale e dell’ordine internazionale, liberale e multilaterale, post 1945 che doveva mettere al bando la guerra, con l’organizzazione delle Nazioni Unite a fare da garante.
In quel momento, l’umanità riuscì a definire almeno sulla carta il divieto dell’intervento armato da parte di uno Stato sovrano nei confronti di un altro Stato sovrano. Un principio chiaro che nei decenni si è scontrato con limiti e incoerenze, ma che va difeso come baluardo della legalità internazionale. Allo stesso tempo, la comunità internazionale ha cercato di progredire nel campo del diritto umanitario, l’insieme di norme che mirano a limitare gli effetti dei conflitti, fissando principi in materia di prigionieri di guerra, di utilizzo di armi di distruzione di massa, di tutela e protezione dei civili. Quest’ultimo punto in particolare è tenuto in sempre minor considerazione, come dimostra la degenerazione del conflitto israelo-palestinese con le stragi di Hamas del 7 ottobre 2023 e i crimini di guerra e contro l’umanità compiuti da Israele nella Striscia di Gaza.

ISTITUZIONI AUTOREVOLI E DIFESA COMUNE
In uno scenario così complesso, servono istituzioni autorevoli e credibili, un “pacifismo giuridico” che superi gli Stati nazionali in funzione del metodo del multilateralismo e del rafforzamento di entità sovrastatali a cui rimettere la risoluzione delle controversie, come l’ONU. Occorre riformare l’Organizzazione delle Nazioni Unite perché diventi veramente credibile, plurale ed efficace, capace di trovare meccanismi decisionali proporzionati e legittimi per fermare aggressioni anche quando queste provengono da Paesi che hanno responsabilità all’interno dell’organizzazione stessa. La stessa Unione Europea che è frutto anche del dolore della guerra, è nata per fermare i conflitti tra i suoi Stati membri e ci è riuscita, facendo del Diritto lo strumento di propagazione della pace.
Quell’Unione Europea che oggi va rilanciata, superando le logiche nazionali e portando a compimento una più profonda e completa unità politica, di cui il tema della difesa comune come deterrenza – un’idea già immaginata dai fondatori e mai realizzata – è parte integrante. Così il valore della politica e della diplomazia, della cooperazione e del multilateralismo: orizzonti da cui il mondo di oggi sembra allontanarsi, ma che è urgente riaffermare, elaborando idee e soluzioni nuove. Oggi viviamo un tempo che considera questo patrimonio e questa visione della storia quasi come un problema. Uno stato di cose descritto bene dalle parole di papa Leone XIV pronunciate il 26 giugno 2025: «È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi.
È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni».

L’IMPEGNO DEL SERMIG
Rimanere saldamente ancorati a un paradigma di pace significa avere ben presente l’articolo 11 della Costituzione italiana, un testo fondamentale che esorta a conciliare una duplice tensione: il “ripudio della guerra” come strumento di offesa e la cessione di quote di sovranità a un ordinamento internazionale, come l’ONU o l’UE, deputato a garantire la pace e la giustizia tra gli Stati. Era questa la volontà dei costituenti durante i lavori dell’Assemblea costituente.
Per la nostra Fraternità, una doppia sensibilità da custodire come facce della stessa medaglia: per prima cosa, lo stimolo a impegnarsi ancora di più nell’educazione alla pace e alla giustizia, al rifiuto della violenza, nella cura delle coscienze delle persone che incontriamo, nella testimonianza e nel servizio ai più deboli e alle vittime di ogni sopruso, nella realizzazione concreta della profezia di Isaia attraverso opere e progetti di sviluppo in tutto il mondo. Al tempo stesso, non avere paura di dare un nome alle cose, di non confondere mai aggressori e aggrediti, neutralismo e responsabilità storica, di considerare anche il valore morale della difesa delle vittime e della solidarietà nei loro confronti.
E, nel caso dell’Unione Europea, continuare a insistere sul ruolo insostituibile della politica e della diplomazia, chiamate a riprendersi il loro spazio, affinché il vuoto politico non sia colmato dalla guerra. Riaffermando la pace come valore plurale, intrinsecamente legato alla democrazia, perché non c’è pace senza libertà. Gli organismi internazionali reggono se le democrazie e lo stato di diritto sono più forti delle dittature. In questa prospettiva diventa allora possibile pensare a una difesa comune in chiave veramente europea, coordinata ed integrata, e non semplicemente nazionale.
Anche per questo servono giovani appassionati, disposti a formarsi, a studiare, acquisire competenze, dare testimonianza di una mentalità di pace, con un impegno in più a rinnovare la forza della democrazia e del bene comune, riempiendola di contenuti, partecipazione, motivazioni. L’umanità ha bisogno di giovani e adulti che si impegnino per la pace. Non una pace generica, decontestualizzata, ideologica e irenica, ma fondata sulla realtà degli orrori della guerra, sulla ricerca della verità e sul perseguimento della mediazione, della composizione del conflitto e della riconciliazione.
Se daremo la vita per questo impegno, diventeremo indomabili, sentiremo l’urgenza di non tacere, testimonieremo che l’umanità può rinascere, perché ognuno di noi è pronto a farlo. E allora, prepariamo la pace con la forza delle nostre scelte, dei nostri gesti, del nostro pensiero. Difendiamo le ragioni della pace senza paura! Chiediamolo prima di tutto per noi stessi: «Pace, che cosa posso fare per te?». Una domanda apparentemente piccola che però può cambiare il mondo. Non è un’utopia. È una profezia per l’umanità, da vivere con tutte le nostre forze.
Sermig - Arsenale della Pace
Torino, 4 ottobre 2025

Il Sermig - Servizio Missionario Giovani - nasce a Torino nel 1964 da un’intuizione di Ernesto Olivero e sua moglie Maria e dall’impegno di un gruppo di giovani decisi a sconfiggere la fame con opere di giustizia, a promuovere sviluppo, a vivere la solidarietà verso i più poveri. Il cuore del Sermig è la Fraternità della Speranza: giovani, famiglie, monache, monaci e sacerdoti che scelgono di dedicare la loro vita al servizio dei poveri e dei giovani, con il desiderio di vivere il Vangelo e di essere segno di speranza.
Dal 1983 il Sermig, ottenuto il vecchio arsenale militare di Torino, ha lavorato per trasformarlo in Arsenale della Pace coinvolgendo centinaia di migliaia di persone che si sono condivise gratuitamente. Ora l’Arsenale della Pace è una casa aperta 24 ore su 24: per chi è in difficoltà, per chi vuole cambiare vita ed è in cerca di speranza; per i giovani che cercano il senso della loro esistenza; per chi desidera condividere un cammino di spiritualità, cultura e formazione; per chi vuole “restituire” qualcosa di sé agli altri: tempo, professionalità, beni spirituali e materiali. Negli anni il Sermig continua a portare solidarietà, sviluppo, cultura, cure a popolazioni colpite da guerre, fame, calamità naturali per un totale di 3.864 progetti che hanno aiutato persone di 155 nazioni in tutti i continenti.
Dal 1996 il Sermig è presente anche a San Paolo del Brasile con l’Arsenale della Speranza, dal 2003 in Giordania con l’Arsenale dell’Incontro e dal 2016 sulla collina torinese con l’Arsenale dell’Armonia.





