PADRE NOSTRO: Somiglianza e dissomiglianza con Dio

Pubblicato il 25-01-2021

di Giuseppe Pollano

Il Signore ci ha fatti somiglianti a Lui, ma noi possiamo anche essere molto diversi da Lui. Con umiltà portiamo al Padre la nostra debolezza.

di Giuseppe Pollano
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Le ultime tre domande della preghiera del Padre nostro ci tolgono ogni illusione e ci aiutano veramente a metterci nel giusto rapporto con Dio: abbiamo conosciuto il male, lo conosceremo ancora, ci piacerà, lo sceglieremo e, in quei momenti, brevi o lunghi, episodici o continui, noi saremo dissomiglianti da Dio. Questo è il dramma che ci portiamo nel sangue e anche noi battezzati dobbiamo vigilare perché la nostra scelta sia sempre coerente con quello che siamo già, cioè cristiani. La preghiera del Padre nostro, fatta da questo paesaggio di umanità, mette in evidenza tre aspetti.

1. Rimetti a noi i nostri debiti. Con questa domanda siamo chiamati ad esaminare l’aspetto del nostro debito verso Dio e verso gli altri. Dalla Scrittura sappiamo che c’è un solo debito che l’uomo può fare, ed è un debito di amore: “Non siate debitori gli uni verso gli altri che del vostro amore” (Rom 13,8); Paolo ci dice di dare quell’amore che non si è ancora dato. Il debito di amore può prendere svariati aspetti, ma, se ci riflettiamo, tutto nasce dal fatto che abbiamo amato troppo poco in quella circostanza, in quel momento, in quella relazione, in quella situazione drammatica. Se abbiamo amato troppo poco, abbiamo lasciato spazio dentro di noi all’opposto dell’amore.

Ci vuole la franchezza di ammettere che chi non ama rischia di odiare, spesso pensiamo che non amare voglia dire essere un po’ indifferenti, ma non è vero, il nostro cuore è sempre attivo, e se non lo è nel bene è capace di attivarsi nel male. La parola “odio” ha molte sfumature: quante volte noi con una parola, che è un giudizio o una critica, uccidiamo un po’ della onorabilità dell’altro?
Con “rimetti i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” mettiamo la nostra negatività e scarsità di amore nuda e cruda davanti a Dio. Non per scoraggiarci e mortificarci – Dio è misericordia – ma per arrivare alla verità che non amiamo abbastanza e ammetterlo. Quando la Chiesa sarà presa da questo grande rimorso, da questo grande bisogno di qualificarsi amando, toccherà un livello di verità stupendo e persuasivo per il mondo.

2. Non ci indurre in tentazione. Le interpretazioni sono varie, ma il significato è chiaro: non siamo indifferenti al male, non siamo ormai al di là del male. Questo non è peccato, ma guai se non abbiamo l’umiltà di riconoscere che portiamo in noi e avvertiamo attorno a noi fortissime inclinazioni al male: questa è la nostra umana struttura dopo il peccato, ed è una menzogna sostenere che abbiamo superato il male. “Non ci indurre in tentazione” vuol dire che non passa giorno in cui noi non siamo chiamati a percepire la negatività e a vincerla con l’aiuto di Dio. Non esiste uomo senza tentazione, né esiste giornata senza tentazione; possiamo avere la percezione che non sia così, ma allora dobbiamo riconoscere che la nostra coscienza è diventata insensibile e superficiale, tale che per essere scossa ha bisogno di grandi cose. La tentazione, come la parola dice, altro non è che un collaudo: Dio mette alla prova la nostra libertà e il nostro amore, verifica se resistiamo come Egli ha resistito - perché anche Gesù ha conosciuto più di noi la prova. Ed è per questo che chiediamo al Padre di aiutarci a non cedere al fascino della negatività quando si fa sentire in noi.

Questo cammino della coscienza è necessario per imparare cosa è la moralità e la fedeltà a Dio. Nella preghiera del Padre nostro, noi chiediamo a Dio soltanto che ci salvi da ciò che in noi pesa e ci porterebbe in basso. Ognuno di noi ha e conosce i suoi punti deboli: è di lì che la tentazione viene. Di per sé questo non è colpa; la colpa - la responsabilità di commettere il peccato - inizia quando tu ti lasci prendere e la tua coscienza si impregna di questi sentimenti negativi e comincia a farti pensare ed agire in un certo modo.
Non stiamo vivendo in una società ed in una cultura che ci incoraggiano a riconoscere l’inclinazione al male; dobbiamo fare molto da soli perché non abbiamo punti di riferimento, linee di pensiero, tutto è generico, tutto è consentito, tutto equivale a tutto. Questa apparente leggerezza disorienta, sicché il cristiano oggi deve essere molto attento e profondo, radicato nelle sue convinzioni, perché fuori di sé non trova appoggio, troverà molto spesso soltanto una debole irrisione, una tranquillità, l’invito a non farsi problemi. Questa è una grande superficialità dell’epoca che viviamo.

Ci sottraiamo da questo inquinamento della debolezza nella misura in cui viviamo secondo lo Spirito Santo. Tu conosci le tentazioni che più facilmente si affacciano in te? Tu conosci le tentazioni attorno a te che più ti seducono? Spesso le tentazioni hanno un volto, una voce, sono una situazione: la nostra storia personale comincia nel sacrario della nostra coscienza, dove sappiamo quando la tentazione inizia a diventare terribilmente pericolosa e agiamo di conseguenza.
Non diremo mai dunque “non ci indurre in tentazione” con abitudine, cercheremo invece di darle spessore, capire cosa significa per noi e ciò ci educherà molto. E così diciamo allora al Padre ancora una terza cosa.

3. Liberaci dal male. Il termine “male” nei primi secoli della Chiesa era tradotto con “maligno”, intendendosi non il male generico e impersonale, ma propriamente la persona che è decisamente staccata da Dio una volta per sempre. È importante recuperare questa dimensione perché non c’è dubbio che il maligno c’è ed agisce. Le sue strategie sono numerose e si adattano alle situazioni, ma certamente agisce perché mosso dall’odio e l’odio, come l’amore di cui è l’opposto, è pieno di iniziativa. Il maligno ignora l’indifferenza e l’inazione. Le sue armi sono molte. Tende ad impaurire l’uomo, e questa è la sua arma prediletta; la paura infatti sconvolge la vita delle persone.

Il demonio toglie all’uomo il senso della fiducia in Dio, gli presenta un Dio che fa paura, accentua in noi il senso del nostro peccato, cerca di condurci allo scoraggiamento. Il demonio ti fa peccare, ma non gli importa del tuo peccato, quello che gli importa è che tu, pensando al tuo peccato, cada nella disperazione, pensi cioè che Dio non ti perdoni più. E questo è un sentimento diffuso. Liberaci dal maligno, perché ci rendiamo conto che senza il tuo aiuto noi non lo possiamo: il maligno è molto più forte dell’uomo e se fosse lasciato solo dinanzi alla debolezza dell’uomo, lo schiaccerebbe in un istante, ma noi apparteniamo a Cristo che è il vincitore. Liberaci dal maligno: c’è una cosa sola che il maligno teme, è l’umiltà. Può imitare e contraffare tutte le virtù, ma l’umiltà no, perché è l’atteggiamento che il Verbo di Dio ha scelto per portare la verità dell’uomo fino in fondo. Il Verbo, tra tutte le strade possibili, per il suo amore sceglie di umiliarsi (Fil 2,7-8), capovolgendo la categoria dell’orgoglio. Per cui l’umile è altamente protetto contro il maligno, mentre il superbo, l’autosufficiente, il presuntuoso, il vanaglorioso è molto esposte alle sue tentazioni.

Con queste tre domande mi raccolgo davanti a Dio: “io davanti a te ho soltanto la mia debolezza da portare, soltanto il mio tremore perché vorrei amarti ma mi sento fragile e povero”. La risposta di Dio è meravigliosa: “è così che ti aspettavo!”. Non possiamo dimenticare le grandi frasi bibliche: “quando siamo deboli è allora che siamo forti”. Meditando su queste parole che Paolo scrisse nella seconda lettera ai Corinti (2 Cor 12,10), ci si rende conto che quando si è deboli è allora che possiamo appellarci all’Onnipotente. Tu sei debole e lo sai, lo ammetti e non ti offendi con te stesso, non ti avvilisci, ma ti consegni a Colui che si china su di te amorosamente. Il passaggio per superare la negatività è proprio questo.
Quando dunque noi preghiamo con queste divine parole, frase per frase abbiamo da entrare in una preghiera ampia, semplice ma di vero dialogo. Nella familiarità, preghiamo con il Padre.

Giuseppe Pollano
deregistrazione non rivista dall’autore

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