Volevo essere un duro

Pubblicato il 05-07-2025

di Roberto Cristaudo

È appena terminata la kermesse sanremese. Tenendo conto di tutti i limiti che gli spettacoli di intrattenimento contengono, in fondo qualcosa rimane sempre. Quest’anno a lasciare il segno è stata la canzone di Lucio Corsi, Volevo essere un duro. Vivere in una società che sembra premiare solo chi vince mi ha ricordato che, da adolescente, anche io osservavo i ragazzi più grandi che sembravano avere il controllo della strada: sicuri, rispettati e mai turbati da nulla. Per me, incarnavano un modello di forza e indipendenza che desideravo emulare. Il percorso per diventare un “duro” sembrava chiaro: atteggiamenti spavaldi, abiti giusti e una sprezzante indifferenza verso l’autorità.
Mi sono impegnato a pieno in questa trasformazione, cercando di adeguarmi alla narrativa del ribelle invincibile. Tuttavia, sotto quella superficie di ostentata sicurezza, si nascondeva una fragilità che raramente mostravo.
Con il passare del tempo, ho iniziato a rendermi conto di quanto quell’immagine fosse una maschera. La vera forza non risiede nell'essere intimidatori o distaccati, ma nel trovare il coraggio di essere autentici.
Mentre alcuni dei miei coetanei si perdevano in quel ruolo, incapaci di vedere oltre il mito, io cercavo una nuova strada. Scoprivo che essere veramente forte significava accettare le proprie vulnerabilità e usare le esperienze per crescere.
Imparavo che chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma di intelligenza. E così, ho iniziato a costruire una nuova identità, basata sulla comprensione di me stesso e sulla volontà di migliorare.
Oggi, se ripenso a quel desiderio giovanile, sorrido.
Ambire a essere un “duro” ha rappresentato una fase di crescita, ma la vita mi ha insegnato che la vera forza è vivere con integrità e rispetto per gli altri, mantenendo uno spirito aperto alle sfide e ai cambiamenti.
Durante i miei viaggi, mi è capitato spesso di incontrare ragazzi che mostravano un atteggiamento ostile.
Ostentavano sicurezza e indifferenza, come se nulla potesse scalfire il loro apparente guscio di invulnerabilità.
Inizialmente, questa maschera sembrava impenetrabile, ma con il tempo e un po' di dialogo, emergevano storie diverse. Sotto quella facciata c'erano spesso paure, insicurezze e desideri di accettazione. Ricordo un ragazzo incontrato in un ostello a Berlino. Sembrava il classico tipo che non si preoccupa di nulla, ma durante una conversazione mi confessò di essere in viaggio per fuggire da aspettative familiari opprimenti. O un altro in un caffè di Buenos Aires che si atteggiava a ribelle, ma che in realtà cercava solo un posto nel mondo che lo facesse sentire davvero a casa.

Durante un viaggio in Cambogia, ho incontrato un bambino che impugnava una pistola. Mentre giocava a farsi beffe delle sue stesse paure i suoi occhi brillavano, nonostante il contesto intorno a lui fosse difficile.
Quella pistola era simbolo di un mondo in cui sognava di essere forte. Mi avvicinai e parlammo di giochi. In quel momento, compresi che ogni bambino, ovunque, desidera solo essere un bambino e poter vivere in un modo di pace.
Queste esperienze mi hanno insegnato che dietro ogni corazza c’è un animo umano che lotta con le proprie fragilità. La vera forza non sta nel nascondere le proprie debolezze, ma nel riconoscerle e accettarle
 

Roberto Cristaudo
Mind the gap
NP marzo 2025

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