Vite sprecate

Pubblicato il 30-01-2013

di Flaminia Morandi

di Flaminia Morandi - Anche Eutropio, il padre di san Benedetto, avrà giudicato sprecata la vita di quel figlio ragazzino…

Monaco in preghieraVite sprecate le nostre, ha detto un monaco trappista in un bel documentario di Sat2000. Quando ci chiedono “Ma non sprecate la vita a stare qui appartati pregando?”, io rispondo che è vero, sprechiamo la vita come Maria ha sprecato un vasetto pieno di olio profumato per ungere i piedi di Gesù. Anche in quel caso qualcuno ha protestato per lo spreco: si poteva guadagnare un bel po’ di soldi vendendo quell’olio prezioso, per dare da mangiare ai poveri! Una protesta ragionevole. Ma chi protestava era Giuda.

La salvezza non tiene conto del ragionevole. Il ragionevole ha una mentalità economica, faccio qualcosa per ottenerne un’altra. Ma il monaco ha ben altre ambizioni: vuole risorgere, e non solo negli ultimi tempi, già qui.

Quando in Russia c’era ancora lo zar, era sorta una gran polemica intorno ai monasteri, a quel tempo numerosissimi. Sono istituzioni inutili e i monaci sono dei parassiti, dicevano i detrattori. È vero, rispondevano i monaci, il monaco serve solo a se stesso. È come un malato che si fa ricoverare in ospedale per recuperare la salute e guarire dalle sue passioni. Ha un fine solo: far fuori l’uomo vecchio e lasciare il cuore sgombro per il colloquio ininterrotto con Dio, dove avviene il miracolo della piccola risurrezione.

San Benedetto da NorciaAnche Eutropio, il padre di san Benedetto, avrà giudicato sprecata la vita di quel figlio ragazzino che invece di compiere gli studi per i quali lo aveva spedito a Roma e che gli avrebbero aperto le porte del potere, s’era andato a rinchiudere in una grotta addossata a un monte cupo e umido. Eppure da quell’eremo quel ragazzino rispunta fuori con un’idea mai sentita, rivoluzionaria rispetto al costume romano: il lavoro come santificazione. Si lavora per vivere con dignità e indipendenza; si lavora per il bene comune; si lavora per imparare a conoscersi nelle qualità e nei difetti. La conoscenza di sé prepara l’incontro con Dio, ed è qui che il lavoro diventa spirituale: il lavoro sano è umile, non per mettersi in mostra; è obbediente, impara a lavorare con gli altri, si adatta a quello che ci viene chiesto e alla forma che il lavoro prende; è disinteressato, libero dal profitto ingiusto, ed è infine l’occasione per offrire continuamente a Dio ogni sforzo, trasformando il lavoro in preghiera. Pregando mi libero dallo stress, dalla rabbia, dalla frustrazione di non riuscire, dalla pressione del lavoro. E intanto riesco a fare il mio lavoro al meglio, senza sciatteria, senza pressappochismo. Divento capace di estendere lo stesso rapporto liturgico a tutto il creato.

Oggi tutti vogliono fare il bene, diceva il santo monaco russo Ambrosij da Optina, ma pochi pensano prima a liberarsi del proprio male: sono come degli scolaretti che immaginano di essere già professori. Solo la solitudine e il corpo a corpo doloroso con se stesso ha reso Benedetto partecipe di uno sguardo divino e di una limpidezza di pensiero capace di portare il mondo al bene.

Flaminia Morandi
NP dicembre 2008

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