Vita OST

Pubblicato il 15-05-2015

di gianni

di Gianni Giletti - Ci sono dischi che ti accompagnano per una vita, tracce che talvolta spariscono, come fiumi sotterranei, che ogni tanto ricompaiono con violenza, improvvisamente, e ti riportano al momento in cui li hai ascoltati per la prima volta. Dischi che diventano macchine del tempo, usati, sentiti e consunti come vestiti da lavoro, che non ti mollano mai, e che, se anche son frusti, non riesci a buttare via.

Rispetto ai brani singoli, avere dei dischi di questo genere nel disco rigido del cervello, ti porta a viaggiare sempre ”armato” di ricordi e sensazioni, nozioni e dejà vu, volti e momenti. Quando ne parli, perché magari qualcuno ti chiede, ti accorgi che dici sempre qualcosa di nuovo, un particolare che ti era sfuggito o di cui non ti ricordavi più o che nel frattempo hai maturato riascoltandolo per l’ennesima volta. Dischi che diventano struttura, paradigma, archetipo di ciò che senti e che sei.

Occorre avere un’età per provare queste cose e questo mi dispiace, perché i giovani devono aspettare un po’ per capire ciò che sento. Il “kilometraggio” in termini di anni vissuti e dischi ascoltati non è un optional, ma base ed elemento fondamentale di quello che sto cercando di dire.
Per non restare troppo sul teorico, ho cercato di mettere qui sotto dieci dischi che entrano in questa categoria, tentando di dire qualcosa di comprensibile per chi legge. Non so se ci riesco ma proviamo. L’ordine è casuale.

Fabrizio De Andrè - La Buona novella (1970)
Sottotitolo: poesia
Quanto ho pensato, suonato e cantato questo album ! È un lavoro che De Andrè ha fatto partendo dai vangeli apocrifi, che sono quei vangeli non riconosciuti ispirati dalla Chiesa ma che ci danno spesso uno spaccato di vita della comunità cristiana di quei tempi.
Già mi colpisce che un ateo dichiarato come Faber si occupi di temi del genere, ma leggendo i testi, lo stupore aumenta perché si intravedono delle intuizioni profonde su Dio e sugli uomini, ovviamente in mezzo magari ad altre meno condivisibili.
Ma è il lato umano dei personaggi dei vangeli che De Andrè ha voluto descrivere a modo suo, con delicatezza e psicologia sopraffine.
Suoni datati ovviamente, ma scrittura straordinaria. Un disco che è il volto della poesia.

Joe Henry – Shuffletown (1990)
Sottotitolo: arrangiamento
Disco lunare, fatto di suoni eterei e sghembi, condito con una voce nasale che sembrerebbe non centrare niente, ma che invece è il giusto complemento ad una scrittura maiuscola, che resta sulla ballata ma spazia dal country al jazz, dall’acustico all’elettrico sempre tenendo una cifra stilistica superlativa. Disco notturno, dolente, malinconico, con delle idee musicali e di arrangiamento davvero straordinarie.

Lyle Lovett - Lyle Lovett & his large band (1989)
Sottotitolo: voce maschile
Lui è uno incredibile, con una faccia e dei modi goffi, ma resta una delle più belle voci americane viventi. Ha una misura e un gusto straordinari, mescolando inoltre due generi così diversi come il country e lo swing, con una maestria e una naturalezza invidiabili. Questo disco si divide dunque a metà, con qualche cover in mezzo, vitalizzate da idee musicali brillanti, una ritmica che ti coinvolge nei brani veloci e una vena di malinconia che ti strugge in quelli lenti. Con questo disco vince un Grammy.

Fairground Attraction – Ay fond kiss (1990)
Sottotitolo: voce femminile
Quando parte in perfetta solitudine sul primo brano, il mondo si ferma. Voce statuaria per l’autorità che possiede, però calda, non gelida come il marmo, statua che poi diventa persona. In questo disco fa tutto la cantante – Eddi Reader – la band è sottotraccia, non conta, cerca di non rovinare la zuppa. Ma lei ti svela tutto quello che c’è da sapere su come emozionare semplicemente con la voce.

Eagles – Hotel California (1976)
Sottotitolo: …
Eh, qui non ho parole, solo sentimenti. Quanti viaggi con questo disco, quante autostrade kilometri, aree di servizio. Disco sminuzzato, guardato e riguardato da tutte le parti, tritato dentro il tourbillon dei ricordi, volti, sguardi, emozioni…
Rock certo, ma anche ballad romantiche, dolce e salato che si alternano, con l’ingombro del brano che dà il titolo che non ho mai apprezzato particolarmente, pur amando alla follia gli Eagles. Le voci mi stregano, ma anche i quattro accordi in croce che fanno, sono talmente ovvi che ti spiazzano con la loro bellezza.

Neil Young – Harvest (1972)
Sottotitolo: educazione ai sentimenti
In questo disco c’è tutto quello che serve per vivere, lato sentimenti. E’ la musica che Young esprime qui, che ti da gli strumenti per sentire, un nome alle emozioni, un colore ai sogni. Adrenalina e malinconia a livello di guardia, disco molto basico per quanto riguarda gli strumenti, a parte l’ingresso trionfale della London Symphony Orchestra su due brani. Dopo più di quarant’anni, mi sembra uscito ieri.

Led Zeppelin - IV (1971)
Sottotitolo: perfezione
Non c’è altro modo per descrivere questo disco se non con la parola del sottotitolo. Qui, più che in ogni altro disco, i Led Zeppelin sembra che suonino uno strumento solo, che declina in vari modi e tempi il “sapere” musicale che questi quattro ragazzi di allora avevano nel sangue. Brani diversi, pieni di riferimenti fantasy, hard rock spietato, disco immenso per immaginazione e grinta, ancora oggi quando lo sento mi smuove, non si accontenta di un mio ascolto distratto.

The Blues Brothers – OST (1980)
Sottotitolo: musica nera
Siamo in missione per conto di Dio. Un film e una colonna sonora che è una lezione di musica afroamericana, passando attraverso gli occhi dei suoi artisti principali. Una band con un sound unico, cristallino, brani che rievocano scene pazzesche di un film pazzesco, artisti che ci cantano,vere e proprie icone della musica nera. Davvero un vocabolario indispensabile.

Johnny Clegg & Savuka – Third world child (1987)
Sottotitolo: Africa
Quando l’ho ascoltato la prima volta, mi ha scioccato. Non immaginavo musiche simili, voci così espressive, che ti visualizzano davanti agli occhi i paesaggi africani. Lui poi con la sua storia pazzesca, uno dei primi bianchi che suona con i neri in un paese che non può sopportarlo e che difatti lo esilia per un periodo, gettandolo suo malgrado verso il successo internazionale. Rock e musica africana, percussioni e chitarre elettriche, cori da brivido e danze, ho avuto la gioia di vederlo dal vivo ben tre volte e sono serate che non si dimenticano.

Steely Dan – Greatest Hits
Sottotitolo: perfezione stilistica
Un disco come un orologio, un meccanismo perfetto, suoni centellinati, arrangiamenti tagliati su misura, ma anche ritmo, misura, easy listening. La bellezza degli Steely Dan viene proprio da questa facilità di ascolto che nasconde un lavoro immenso di ricerca, immaginazione, genio. È la ritmica comunque l’ingrediente che dà più sapore al disco, dispiegando con sapienza un caleidoscopio di colori, sapori, immagini.

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