Videogiochi killer

Pubblicato il 31-08-2009

di Gian Mario Ricciardi


Ce n’è uno in America in cui il giocatore spara sui messicani che attraversano illegalmente la frontiera… Ma che futuro vogliamo? Una meditazione amara sulla sequenza di assurdità che il presente ci offre.

di Gian Mario Ricciardi

L’inciviltà corre tra videogames ed internet. In America la strage al liceo di Columbine è diventato un gioco. Un gioco orrendo. Era il 20 aprile del 1999 quando Eric Harris e Dylan Klebold, due studenti, entrarono nella scuola di Littleton, vicino a Denver. Impugnando armi semiautomatiche cominciarono a sparare su tutti quelli che incontravano. Uccisero dodici ragazzi, un insegnante e ferirono venti persone. Poi si suicidarono. È stato il più sanguinoso massacro della storia scolastica americana. Ora quel dramma infinito è un videogioco che, ovviamente, fa infuriare i familiari delle vittime. Grande dibattito, grande scontro. Ma intanto il gioco sta lì a simulare un’incredibile scena di morte.

Non passa giorno che la polizia postale non metta insieme i fili che portano a qualche sordido portale di pedopornografia. I fili non conducono più e soltanto ad anonimi palazzi di metropoli. Arrivano, purtroppo, anche in casette graziose immerse nella campagna anche italiana. Quella campagna che, sia pure per facciata, partecipa a tutti i riti di una società apparentemente buona e sana: incontri, dibattiti, feste, messe, eventi. Non passa minuto che i bambini, lasciati soli davanti al computer, vadano a sbattere in siti capaci di offendere e turbare - a volte per sempre - la loro innocente crescita, fatta di giochi elementari ed impastati di quell’antica “maraviglia” che i filosofi greci seppero cogliere e trasmetterci così bene.

Non passa settimana che qualcuno inventi nuove inaccettabili diavolerie. Ci sono in giro videogiochi razzisti che mirano semplicemente ad accrescere l’ostilità nei confronti degli immigrati clandestini. Ce n’è uno in America in cui il giocatore spara ed abbatte i messicani che attraversano illegalmente la frontiera. Ce ne sono altri che hanno come bersaglio le donne immigrate incinte perché se il figlio nascerà negli Usa diventerà cittadino americano.

La cattiveria, dunque, corre purtroppo attraverso le autostrade telematiche. E qualcuno ci dice che siamo soltanto all’inizio. Sarà, ma ce n’è davvero per vergognarci. Perché questi nuovi fenomeni non fanno che dare forma a scompensi e follie di una società che sta cominciando a dimostrare tutte le sue debolezze. E, giorno dopo giorno, fanno lievitare le dosi di cattiveria che sono tipiche di un mondo sempre più diviso tra garantiti in tutto e senza diritti, tra ricchi e poveri.

Chi fa le spese di questo dilagante malcostume via computer? Prima di tutto i nostri figli ai quali sarà sempre più difficile poter insegnare dove sta il bene e dove sta il male. La linea di demarcazione tra il corretto e lo scorretto viene troppo blandamente lasciata sulle spalle dei genitori e degli insegnanti. Con i risultati offertici dalla cronaca: aumenti di violenze di gruppo, proliferare di piccole bande di insoddisfatti senza regole che aggrediscono i compagni per portar via loro un telefonino, crescita esponenziale di tutto ciò che è immagine, peggioramento del linguaggio ormai dovunque e comunque intriso di volgarità. In questo contesto far capire anche semplicemente il valore della vita diventa un’impresa quasi sempre impossibile. A chi obietta che un tempo ci insegnavano “la libertà tua finisce dove comincia quella degli altri” la risposta più comune è quella di Caino: “Sono forse io il custode di mio fratello Abele?”. Un bel risultato. Cambiarlo sarà lungo e difficile mentre la cronaca continuerà a sfornarci gli eccessi e le colpe di un’educazione che noi, troppo spesso, abbiamo sbagliato. Forse perché siamo anche noi travolti dalla fretta.

di Gian Mario Ricciardi
da Nuovo Progetto giugno-luglio 06

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