Unità nazionale

Pubblicato il 23-02-2025

di Claudio Monge

È proprio sulla questione del popolo curdo, comunità etnica di origini iraniche, storicamente senza un Paese in cui identificarsi, ma spesso ago della bilancia per la politica di tutto il Medio Oriente, che si è recentemente espresso in una lunga intervista per duvarenglish.com, sito turco indipendente di informazione e approfondimento, in lingua inglese. In dialogo con la giornalista Mühdan Sağlam, Bozarslan ha preso spunto dalle recenti dichiarazioni del leader nazionalista di estrema destra, alleato del presidente turco Erdoğan, Devlet Bahceli, che lascerebbero pensare a nuovo tentativo di processo di pace tra governo di Ankara e curdi, per un rafforzamento della sicurezza interna del Paese, già sufficientemente minacciato da venti di guerra in una regione medio-orientale mai così instabile. Il politologo non può però evitare di sottolineare come il partito akp del presidente Erdoğan abbia perso già molti treni nel recente passato, per far credere di essere capace di un vero cambio di registro sulla questione curda.

Fin dagli anni ‘90, la politica estera turca, ha monitorato la presenza del pkk in Libano e in Siria, da un lato, e ha semplicemente ostacolato la formazione di un Kurdistan in Iraq, dall’altro. E anche dopo il 2015, in piena catastrofe siriana, dove i curdi hanno giocato, per scelta della politica internazionale, un ruolo anti Stato islamico, la Turchia non ha cambiato strategia nei loro confronti. Tra fine 2017 e inizio 2018 i curdi siriani riuscirono a espugnare Raqqa (allora capitale dello Stato islamico), con il sostegno di comodo degli Usa, ma già pochi mesi dopo furono via via abbandonati dalle cancellerie occidentali, subendo la terribile disfatta nel cantone di Afrin (estremo nord della Siria, nel distretto di Aleppo), dove l’esercito turco, nel marzo 2018, decide di stroncare sul nascere le aspirazioni nazionaliste curde. Insomma, come già nei decenni precedenti, Ankara continua a percepire i curdi come un gruppo costantemente minaccioso, pensare che il curdo sia un’entità che “inquina la turcità” e, di conseguenza, a eliminare il più possibile il fenomeno curdo in Medio Oriente.

Ma pensare di raggiungere una pacificazione con i curdi entro i confini nazionali, senza prendere in conto la loro realtà regionale, si è sempre rivelato utopico. Per Bozarslan, potrebbe essere questa una chance politica per il principale partito d’opposizione, il Partito Popolare Repubblicano (chp): trarre dei vantaggi in termini di leadership del Paese, proprio attraverso un programma di democratizzazione e di accettazione della legittimità dei curdi.

Questo però significa che anche l’ex-partito kemalista deve rompere con la sua storia secolare, accettare l’uguaglianza, riconoscere la legittimità della questione curda e la legittimità della democrazia, andando oltre la retorica dei discorsi. Qualcosa si sta vedendo a livello di elezioni amministrative locali. Recentemente, sia il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu che il leader del chp, Özgür Özel, si sono recati a Mardin (sud est del Paese) per esprimere la loro solidarietà al neo eletto sindaco, Ahmet Türk, esponente del partito curdo dem, sospeso dopo pochi mesi, con un provvedimento del ministro degli Interni di Ankara, per presunte irregolarità amministrative.

La sfida è cruciale, oltre che storica, al cuore del pensiero politico della Turchia post-ottomana: riconsiderare le particolarità etnico-culturali, come una risorsa in un progetto di unità nazionale su basi davvero democratiche, scacciando i fantasmi e le pagine buie di un passato, che ha portato a demonizzare la legittimità dell’essere curdo, dell’essere greco, dell'essere armeno.


Claudio Monge
NP dicembre 2024

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