Una vita libera

Pubblicato il 30-06-2018

di Flaminia Morandi

Flaminia Morandi - MINIMAdi Flaminia Morandi - “L’uomo misterioso” può forse indicare la via per formare veri e seri preti del futuro. Non è un padre del deserto del III secolo, “l’uomo misterioso”, ma Matta el Meskin, morto 12 anni fa nel 2006: un uomo alla ricerca della libertà di Cristo, cioè un vero monaco. Nasce nel 1919 come Yussef Iskandar in una famiglia copta ortodossa: in Egitto, una minoranza della minoranza. È un bambino sensibile, predisposto alla meditazione, colpito dalla devozione di sua madre, che passa ore a pregare e a prosternarsi secondo l’uso ortodosso.

Studia chimica e farmacologia al Cairo, è amico senza differenze di cristiani e musulmani. Diventa apprendista in una farmacia, ne apre una tutta sua e ha un grande successo, anche per la sua grande capacità di ascolto degli altri. Medita, studia la Sacra Scrittura e matura una decisione che sembra improvvisa: vende tutto e sale sull’autobus che porta al deserto e al monastero di Deir es Suryan. In tasca ha solo due lire per il biglietto. È il 1948. Non trova lì quello che cerca. È ferito dalla sottomissione servile dei monaci al superiore, ma resiste tre anni, aggrappato alla Bibbia. Poi però si inoltra nel deserto, scava una grotta, vive in assoluta solitudine ma in totale comunione col mondo. Diventa un polo di attrazione: gli chiedono di andare al Cairo a fare il vicario del patriarca. Accetta riluttante, ma si rivela un amministratore attento che trova i soldi per lo stipendio dei preti e rinnova la pastorale. La sua libertà non viene capita, contro di lui una congiura a colpi di volantini anonimi.

Torna nel deserto per evitare conflitti, ma dodici aspiranti monaci lo seguono. Con i soldi inviati dagli amici si mettono a ricostruire Anba Samuel, un monastero abbandonato. I superiori gli ingiungono di andarsene. Nuovo esodo verso il primo monastero dove il gruppo non è bene accetto. Ritorno al Cairo, è cacciato anche da lì. Stavolta Matta e i suoi si stabiliscono nel deserto profondo, a Wadi Rayyan, sulla via pericolosa dei trafficanti d’oppio. Scavano una chiesa nella roccia. Matta scrive una quarantina di libri, vietati dalla chiesa copta. Nel 1969 il patriarca gli chiede scusa e lo invia a Deir abu Maqar, un altro monastero spopolato, dove Matta e i suoi si mettono al lavoro, strappando alla sabbia l’acqua sotterranea. Nel 1980, l’anno della grande crisi tra il presidente egiziano Sadat e il patriarca copto, Matta è richiamato al Cairo: solo lui può fare da paciere. Gli propongono di diventare patriarca. Risponde: «Se insistete, mi perderete per sempre. In nessun luogo troverete le mie tracce». Muore da uomo libero, nel monastero che ha fatto fiorire nel deserto. Dai suoi ottanta monaci usciranno i futuri vescovi copti: con la sua perseveranza monastica, spesso non compresa e contrastata, Matta el Meskin, Matteo il Povero, ha rinnovato la chiesa copta.

Flaminia Morandi
MINIMA
Rubrica di NUOVO PROGETTO

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