Una sacra rappresentazione

Pubblicato il 02-07-2021

di Davide Bracco

Mi si perdonerà l’ardire ma per i motivi che ormai è sconfortante ancora specificare, questa pagina non si dedicherà in questi due prossimi numeri alle novità cinematografiche e alle immagini in movimento ma ad una riflessione davanti ad una sola immagine sacra sulla quale si sono interrogati maestri del pensiero occidentale.

Si tratta del quadro Il corpo di Cristo morto nella tomba di Hans Holbein il giovane dipinto nel 1521 ed ora conservato al Kunstmuseum di Basilea. Un’opera che ritrae il corpo di Cristo prima della resurrezione raffigurato in una cruda maniera realistica (fin dalle dimensioni reali di un uomo disteso in un quadro lungo due metri) in uno stato di forte deperimento con tre ferite visibili: una alla mano, una al fianco e l’altra ad un piede. È un volto martire, intriso di dolore, senza speranza, lo sguardo perso nel vuoto.
Sembra ancora una volta lanciare verso il Padre il grido di abbandono.



Questo intento realista non era una novità per l’epoca (basti vedere la precedente Crocifissione dipinta da Grunewald) ed era esplicitamente motivato per spingere lo spettatore a considerare ancora più a fondo l'opera osservata, riflettendo sul significato e scatenando un senso di pietismo e di colpa. Il sentimento profondo insito nel quadro non si perse con il passare dei secoli ma restò sottotraccia fino a ritornare in superficie nel 1868 quando Dostoevskij scrisse uno dei suoi capolavori, L’idiota. Rogožin, amico e rivale del protagonista principe Myškin, ha in casa una copia della suddetta opera del pittore tedesco.
Dinanzi ad essa, tra i due personaggi avviene il seguente scambio di battute: «Quel quadro!», esclamò il principe, colpito da un’idea subitanea. «Osservando quel quadro c’è da perdere ogni fede». «E infatti si perde», confermò Rogožin.

Nel romanzo un altro personaggio, Ippolit nelle pagine seguenti avvalora la tesi del principe Myškin, insinuando alla fine una spaventosa ipotesi: se Cristo, il giorno prima della sua morte, avesse visto il suo corpo ridotto in questo macabro stato, probabilmente, non avrebbe avuto la forza di salire su quella croce, gli sarebbe mancato il coraggio necessario. Lo stesso Gesù, nonostante i miracoli, avrebbe dubitato di se stesso, della sua natura divina, dell’esistenza di suo Padre: "Normalmente, gli artisti che affrontano questo soggetto fanno in modo di dare a Cristo un viso bellissimo: un viso che gli orrendi supplizi non sono riusciti a deformare. Invece, nel quadro di Rogožin, si vede il cadavere di un uomo che è stato straziato prima di essere crocifisso, un uomo percosso dalle guardie e dalla folla, che è stramazzato sotto il peso della croce e che ha sofferto per sei ore (secondo il mio calcolo) prima di morire. Il viso dipinto in quel quadro è proprio quello di un uomo appena tolto dalla croce; non è irrigidito dalla morte ma è ancora caldo e, starei per dire, vitale.

La sua espressione è quella di chi sta ancora sentendo il dolore patito. Un viso di un realismo spietato. Io so che, secondo la Chiesa, fin dai primi secoli, Cristo, fattosi uomo, soffrì realmente come un uomo e che il suo corpo fu soggetto a tutte le leggi della natura. Il viso del quadro è gonfio e sanguinolento; gli occhi dilatati e vitrei. Ma, nel contemplarlo, si pensa: «Se gli Apostoli, le donne che stavano presso la croce, i fedeli, gli adoratori e tutti gli altri videro il corpo di Cristo in quello stato, come potevano credere all’imminente resurrezione? Se le leggi della natura sono così potenti, come farebbe l’uomo a dominarle quando la loro prima vittima è stato proprio Colui che, da vivo, impartiva i suoi ordini alla stessa natura, Colui che disse: "Talitha cumi!", e la bambina morta resuscitò; Colui che esclamò: "Alzati e cammina!", e Lazzaro, che era già morto, uscì fuori dal suo sepolcro?».

Guardando quel quadro, si è presi dall’idea che la natura non sia altro che un mostro enorme, muto, inesorabile, una macchina immensa ma sorda e insensibile, capace di afferrare, lacerare, schiacciare e assorbire nelle sue viscere un Essere che, da solo, valeva come la natura intera con tutte le sue leggi e tutta la terra che, forse, fu creata solo perché potesse nascere quell’uomo! Il quadro dà proprio l’impressione di questa forza cieca, crudele, stupida, alla quale tutto è fatalmente soggetto. Dentro di esso, non c’è nessuno fra quelli che erano soliti seguire Gesù. In quella sera, una sera che annientava tutte le loro speranze e forse anche tutta la loro fede, coloro che seguivano Gesù dovettero provare un’angoscia senza nome.

Atterriti, si dileguarono, sostenuti soltanto da una grande idea, un’idea che nessuno avrebbe più potuto togliergli o cancellargli: se il Maestro, alla vigilia del supplizio, avesse potuto vedere la propria immagine, sarebbe salito lo stesso sulla croce? Sarebbe morto nel modo in cui morì?"


Davide Bracco
NP marco 2021

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