Una rinnovata vitalità
Pubblicato il 12-01-2025
L’ampio intervento del segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin, all’Assemblea Generale dell’onu (29 settembre 2024) offre interessanti spunti di riflessione per chi si metta nella prospettiva di guardare alle ragioni del diritto, come cerchiamo di fare in questa rubrica di Nuovo Progetto.
Il contesto del discorso è di grande importanza. Il “primo ministro” della Santa Sede ha presentato le sue riflessioni all’organo plenario delle Nazioni Unite. In quella sessione
dell’Assemblea Generale hanno parlato i capi di Stato o di governo o i ministri degli esteri dei 193 Stati membri della massima organizzazione mondiale. Grande è la rilevanza politica e diplomatica dei loro discorsi, e notevole è la risonanza mediatica di cui godono.
Dopo avere delineato «le origini culturali e politiche delle sfide contemporanee», Parolin ha offerto le sue riflessioni su quello che ha definito «un ulteriore studio dell’adeguatezza del diritto internazionale oggi, vale a dire l’efficacia della sua attuazione da parte dei meccanismi utilizzati dalle Nazioni Unite per prevenire la guerra, fermare gli aggressori, proteggere le popolazioni e aiutare le vittime».
La prima via proposta è «il cammino della promozione del dialogo e della comprensione tra culture». Ma, oltre alla “apertura culturale”, «abbiamo a disposizione anche l’importante via del diritto internazionale. La situazione attuale esige una comprensione più incisiva di questo diritto, prestando particolare attenzione alla "responsabilità di proteggere"». Per la verità, il cardinale si concentra essenzialmente sui rischi del terrorismo che, a partire dai terribili attacchi dell’11 settembre 2001, «mina e rifiuta ogni sistema giuridico esistente». La natura globale di questo fenomeno, che non conosce confini, «è esattamente la ragione per cui il quadro del diritto internazionale offre l’unica via percorribile per affrontare questa sfida urgente».
Di qui l’appello al rinnovamento delle Nazioni Unite e al rilancio del ruolo del Consiglio di sicurezza, l’organo politico al quale gli Stati hanno conferito il potere di ricorrere alla forza legittima. La Santa Sede – lo precisa Parolin nella prima parte del suo discorso – guarda con preoccupazione all’Iraq, alla Siria, al Medio Oriente, e alle azioni di gruppi terroristici transnazionali e “attori non statali” che commettono crimini contro le popolazioni di Stati che non riescono a garantire la protezione dei loro diritti fondamentali.
Di qui il richiamo alla dottrina della “responsabilità di proteggere”, enunciata ormai oltre vent’anni fa dalla Commissione internazionale su intervento e sovranità dello Stato (iciss). Nell’impostazione dell’iciss, la novità risiede nella concezione stessa della sovranità, che non dovrebbe più essere intesa come “controllo” esclusivo del territorio e della popolazione, bensì essenzialmente come responsabilità.
Questo implica che le autorità statali sono responsabili della funzione di protezione della vita e della sicurezza dei cittadini e della promozione del loro benessere. Se non lo fanno, la comunità internazionale può e deve intervenire. Si è trattato di una risposta concettuale nuova al problema della legittimazione dell’intervento per motivi umanitari.
Dal 2004, alcuni importanti documenti hanno ripreso la nozione di “responsabilità di proteggere” e, infine, questa dottrina ha trovato autorevole consacrazione nel documento finale del vertice dei Capi di Stato o di governo del 2005. In quell’occasione, l’Assemblea generale dell’onu, riunita al massimo livello, ha riconosciuto che «ciascuno Stato individualmente ha la responsabilità di proteggere la sua popolazione da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità», e che la comunità internazionale dovrebbe in primo luogo e soprattutto «incoraggiare e aiutare gli Stati a esercitare questa responsabilità e sostenere le Nazioni Unite». Ove i mezzi pacifici fossero inadeguati e le autorità nazionali «non possano o non vogliano» rispettare il loro obbligo di protezione, la comunità internazionale dovrebbe essere pronta all’azione collettiva in modo tempestivo e decisivo, attraverso i meccanismi decisionali incentrati sul Consiglio di sicurezza che agisca in conformità con la Carta dell’onu, compreso il capitolo VII (che prevede anche la possibilità di decidere l’uso della forza).
Papa Benedetto XVI, nel suo discorso all’Assemblea generale dell’onu del 18 aprile 2008, aveva richiamato con forza la dottrina della responsabilità di proteggere, invitando gli Stati a non considerarla come un'inaccettabile imposizione o limitazione di sovranità.
Attraverso il suo Segretario di Stato, papa Francesco riprende dopo molti anni lo stesso concetto. Dopo un forte richiamo alla necessità di rafforzare il multilateralismo e le organizzazioni internazionali e potenziare l’azione del Consiglio di sicurezza, il cardinale Parolin attira l’attenzione della comunità internazionale sul divieto dell’uso della forza al di fuori della legittimità internazionale, e conclude: «In sintesi, la promozione di una cultura di pace esige sforzi rinnovati a favore del dialogo, dell’apprezzamento culturale e della cooperazione, nel rispetto della varietà delle sensibilità». Una “rinnovata vitalità” dell’onu aiuterà a risolvere i gravi conflitti del nostro tempo.
Edoardo Greppi
NP novembre 2024