Una donna coraggiosa

Pubblicato il 01-04-2025

di Edoardo Greppi

Libertà e diritti. I conflitti armati di questi ultimi anni, la violenza bellica scatenata dall’aggressione russa all’Ucraina (24 febbraio 2022), dai barbari attacchi di Hamas in Israele (7 ottobre 2023), e dai crimini da questo commessi a Gaza e in Libano finiscono per far passare in secondo piano altre tragedie. Le terribili violazioni del diritto internazionale umanitario (il diritto dei conflitti armati), i crimini di guerra e quelli contro l’umanità che ormai vengono quotidianamente proiettati davanti ai nostri occhi ci rendono insensibi-li alle brutali violazioni dei diritti umani che vengono commesse in tanti (troppi) Paesi del mondo.

La cronaca di questi giorni riporta alla nostra attenzione la vicenda umana di Narges Mohammadi, 56 anni, la coraggiosa attivista iraniana per i diritti umani, premio Nobel per la pace. Ne avevamo scritto un anno fa, in occasione della cerimonia di consegna del premio a Oslo, alla presenza del re e della regina di Svezia, nel corso della quale i figli – esuli col padre a Parigi – hanno letto uno struggente messaggio, che si chiudeva con un grido: «Scrivo questo messaggio da dietro gli alti muri freddi di una prigione».

Il carcere sta uccidendo Narges, e lei ci sta mostrando quale sia il prezzo della libertà. Il 4 dicembre scorso è stata diffusa la notizia che le è stato concesso – dietro pagamento di una cauzione corrispondente a 100mila euro – un permesso di 21 giorni: tre settimane per “curarsi” per i postumi di un intervento chirurgico (l’asportazione di un osso, probabilmente per rimuovere un tumore). In condizioni normali, cure di questo genere richiederebbero scrupolosa attenzione e alcuni mesi di terapie. A lei hanno dato tre settimane, ed è stata costretta a pagare l’ambulanza che l’ha portata a casa. Non solo, ma i barbari di Teheran hanno comunicato di avere soltanto sospeso la pena. Ciò significa che, tornata in prigione, dovrà “recuperare” questi giorni in cella d’isolamento. In aggiunta al tumore osseo, Narges soffre di artrosi, ernia del disco, ha le coronarie ostruite e un tumore benigno al seno.

Narges Mohammadi ha subìto processi-farsa, fondati su accuse inconsistenti e pretestuose, e sta scontando mostruose condanne a oltre 30 anni di reclusione, 20 dei quali già passati nel terribile carcere di Evin, dove sono torturati e massacrati i dissidenti politici. La sua tenace attività in favore dei diritti umani è stata fatta passare per «tentativi di rovesciare il regime». Dopo una prima condanna a 11 anni di reclusione, ne sono arrivate un’altra a 16, e un’altra ancora a 8 anni (e 74 frustate). Nel 2022 Narges aveva raccontato alla bbc: «Un’attivista è stata legata mani e piedi a un gancio sul tettino del veicolo che l’ha portata in carcere, e poi violentata dagli agenti di sicurezza». Questo ha comportato un’ulteriore condanna a 15 mesi per propaganda contro il regime.

In questi anni non ha mai smesso di denunciare gli orrori delle carceri iraniane. Che cosa avviene ora? Narges Mohammadi viene fatta morire poco a poco. Uccidere un premio Nobel forse sarebbe troppo perfino per l’orrendo regime degli assassini del regime teocratico di Teheran.

Oggi 10 dicembre, scrivo queste righe proprio nella Giornata dei diritti umani, proclamata dall’onu per ricordare l’adozione del primo grande atto normativo, la Dichiarazione universale del 1948. A questa, sono seguiti i Patti delle Nazioni Unite del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici sociali e culturali, trattati internazionali che l’Iran (ma nel 1975 era quello dello Scià) ha ratificato. Vi sarebbe poi la convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (1979) che, però, l’Iran dei vergognosi barbuti “uomini di Dio” si è guardata bene dal ratificare. Parimenti, il regime degli assassini non ha ratificato la convenzione del 1984 contro la tortura e i trattamenti o punizioni crudeli disumani e degradanti, cui aderiscono 175 Stati (sui 193 membri dell’onu). Queste pratiche sono la quotidianità nelle prigioni del regime, che uccide, tortura, stupra. Sempre, beninteso, «in nome di Dio onnipotente e misericordioso».

Occorre precisare che, benché l’Iran non abbia ratificato molte convenzioni, le norme principali sui diritti umani e le libertà fondamentali sono ormai da considerare di diritto consuetudinario e, quindi, vincolano anche gli Stati che non hanno accettato i trattati multilaterali in materia. In altre parole, anche l’Iran dei barbari è obbligato al rispetto delle norme fondamentali. Il marito Taghi Rahmani ha raccontato che Narges ha voluto andare a casa, in ambulanza, senza il velo, e ha cantato una canzone “rivoluzionaria”, Il sangue delle viole, scandendo le parole: «Donna, vita, libertà».

Onore a una donna tenace e coraggiosa! Chi ha a cuore le ragioni del diritto ed è sensibile al “prezzo della libertà” deve alzare la voce, e chiedere con forza e senza sosta che la comunità internazionale, gli Stati e la società civile si mobilitino a oltranza per questa donna e per le tante persone che – come lei – non hanno paura di affrontare prigionia e torture per tenere alta la bandiera dei diritti e delle libertà.


Edoardo Greppi
NP Gennaio 2025

 

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